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    SINODO/INSISTE IL CARD. ANTONELLI - LUCI E OMBRE PER 'NOI SIAMO CHIESA'

    SINODO/INSISTE IL CARD. ANTONELLI – LUCI E OMBRE PER “NOI SIAMO CHIESA” – di GIUSEPPE RUSCONI – su www.rossoporpora.org – 28 luglio 2015

     

    Nuovo intervento del card. Ennio Antonelli sull’impossibilità per la Chiesa di riconoscere la liceità di una seconda unione coniugale e dunque di ammettere alla Comunione i divorziati risposati non convertiti concretamente. Intanto per “Noi siamo Chiesa” l’ ‘Instrumentum laboris’ presenta luci e ombre: sull’approccio alle coppie omosessuali “proprio non ci siamo”.

     

    All’inizio di giugno è uscito a firma del cardinale Ennio Antonelli un breve e intenso saggio intitolato “Crisi del Matrimonio&Eucaristia” (ed. Ares), con cui il presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Famiglia intende offrire un suo contributo di riflessione su uno dei temi sinodali più spinosi, quello dell’eventuale ammissione alla Comunione dei divorziati risposati. Ne abbiamo scritto dettagliatamente l’11 giugno in questa stessa rubrica (vedi “Sinodo/Card. Antonelli: attenti alla confusione tra i fedeli”). Il porporato umbro ritorna ora sull’argomento, integrando quanto già apparso nel saggio, con un’ulteriore riflessione di tre pagine, anch’essa pubblicata in italiano, spagnolo, francese e inglese sul sito del dicastero vaticano presieduto oggi dall’arcivescovo Vincenzo Paglia.

    Antonelli evidenzia con grande chiarezza che “la Chiesa non si è mai attribuita il potere di cambiare l’insegnamento di Gesù, di fare eccezioni e di concedere dispense”. No, “ha voluto solo ascoltarlo e interpretarlo in atteggiamento di obbedienza, giungendo progressivamente a precisare che l’indissolubilità assoluta riguarda solo il matrimonio sacramentale, rato e consumato”. Tale matrimonio “può essere sciolto solo dalla morte di uno dei due coniugi”, perché “la volontà umana non può dividete ciò che Dio ha unito”. Insiste qui l’ex-segretario generale della Cei: “Non solo non deve, ma – anche se lo volesse – non può, perché l’unità è innanzitutto dono irrevocabile di Dio”.

    LA NUOVA UNIONE CONIUGALE E’ INCOMPATIBILE CON LA COMUNIONE EUCARISTICA

    Il settantanovenne presule umbro ribadisce che “il divorzio è contrario alla volontà di Dio e ancor più contraria è la seconda unione, qualificata esplicitamente da Gesù come adulterio”. In effetti “se a volte l’interruzione della convivenza può diventare un male minore e rendersi perfino necessaria, mai però è lecito procedere a un’altra unione”, perché “è con la seconda unione che si rifiuta totalmente il dono irrevocabile di Dio e si contraddice completamente l’indissolubilità del matrimonio”.  Conseguentemente “la nuova unione, per tutto il tempo della sua durata, è incompatibile con la comunione eucaristica in cui si esprime e si attua l’amore sponsale di Cristo per la Chiesa”.

    IN CHE COSA CONSISTE LA CONVERSIONE DI UN DIVORZIATO RISPOSATO?

    E’ allora evidente che “solo con un sincero impegno di conversione” si ha il perdono e “si acquisisce la disposizione necessaria per accedere alla mensa eucaristica”. Ma in che cosa consiste la richiesta “conversione”? Chiarisce il cardinale Antonelli: “Occorre riconoscersi peccatori, pentirsi del precedente fallimento coniugale, riparando gli eventuali danni arrecati, rinunciare alla successiva unione adulterina, cambiando realmente vita”. Obiezione: a volte può essere difficile rinunciare alla seconda unione… Risposta: “Secondo l’insegnamento di san Giovanni Paolo II, è auspicabile che la conversione conduca i divorziati risposati a interrompere la vita in comune; ma, se ciò non è possibile per gravi motivi, può essere sufficiente che si astengano dalla relazione sessuale, in quanto questa è propria ed esclusiva dell’autentico matrimonio”. Infatti, “con la pratica della continenza, l’unione adulterina viene a cessare e la familiarità tra i due si riduce a una convivenza basata sull’amicizia e l’aiuto reciproco”. Ne consegue che i due conviventi “sono interiormente disposti a ricevere la comunione eucaristica”. Tuttavia resta un ostacolo non da poco da superare: “La loro situazione oggettiva presenta ancora una apparenza pubblica di coniugalità”. Perciò “la Chiesa, che è attenta a non compromettere il significato oggettivo dei sacramenti del Matrimonio e dell’Eucaristia, li ammette alla mensa eucaristica a condizione che non ci sia pericolo di scandalo per gli altri fedeli”. L’ammissione all’Eucaristia è “un fatto visibile e comunitario, non soltanto interiore e individuale”. Va dunque “preservato dall’ambiguità e dall’oggettiva controtestimonianza”. Proprio per questo “di solito deve avvenire dove non si è conosciuti, perché non può essere concesso a danno di altri”.

    Diverso il caso dei divorziati risposati che non intendono praticare la continenza. Rileva qui il cardinale Antonelli: “Se la Chiesa concedesse la comunione eucaristica ai divorziati risposati senza esigere la continenza, riconoscerebbe la seconda unione come moralmente lecita e implicitamente negherebbe l’indissolubilità del primo matrimonio”. Perché “la prassi pastorale (pur supportata da motivazioni rilevanti come ad esempio i doveri verso i figli nati dalla seconda unione) affermerebbe quello che la dottrina nega”. In questo caso si avrebbe una situazione paradossale: “La Chiesa aggiungerebbe la sua controtestimonianza a quella di chi convive coniugalmente con una persona che non è suo coniuge”.

    Ciò non significa però che la Chiesa non accolga nella comunità cristiana i divorziati non continenti, con “amicizia fraterna” e “rispetto per le persone e per le coscienze”. Conclude l’arcivescovo emerito di Firenze: “Tra i divorziati risposati, che convivono in modo coniugale, ci sono quelli che in buona fede sono invincibilmente persuasi di stare a posto davanti a Dio. Il loro cuore lo vede soltanto Dio. I pastori eviteranno di confermarli nel loro errore, ma rispetteranno la loro coscienza. Non concederanno ad essi la comunione eucaristica (…) ma li inviteranno a partecipare assiduamente alla Messa e alla vita della Chiesa, a fare la comunione spirituale, che è un rapporto soggettivo, interiore ed individuale con il Signore e non un rapporto oggettivo, corporeo, comunitario e direttamente ecclesiale”.

    INSTRUMENTUM LABORIS: LUCI E OMBRE PER “NOI SIAMO CHIESA” 

    A firma del suo coordinatore nazionale Vittorio Bellavite, anche “Noi siamo Chiesa” (filiazione italiana di Wir sind Kirche, movimento di base nato in Austria negli Anni Novanta e oggi diffuso in una quarantina di Paesi) ha preso posizione sui contenuti dell’ Instrumentum laboris per il prossimo Sinodo di ottobre. Ne è uscita una riflessione variegata, in cui agli apprezzamenti si accompagna su certi punti una forte delusione. Come ad esempio accade riguardo al tema spinoso dell’approccio ecclesiale alle coppie omosessuali.

    Qui “proprio non ci siamo”, si legge nel contributo: nell’Instrumentum laboris “ci sono due righe e mezza in cui si ripete la solita minestra riscaldata secondo cui ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza, sia nella Chiesa che nella società. Queste cose le diceva già il Catechismo del 1992”. Insomma, per “Noi siamo Chiesa” su questo punto “tutto il dibattito prima, durante e dopo il Sinodo di ottobre 2014 viene ignorato; eppure ci risulta che dalla base cattolica siano pervenute a Roma molte sollecitazioni di segno ben diverso da questo comodo e imbarazzato silenzio”. Con nostalgia si ricordano le ‘aperture’ nella Relazione intermedia del Sinodo 2014 (poi stravolta dalla maggioranza dei padri sinodali), “un testo che significava una qualche vera apertura al valore e al senso delle coppie gay”. Invece, nell’odierno Instrumentum laboris, niente di tutto questo. A tale proposito non possiamo non ricordare i titoli mendaci (del genere: “Il Sinodo apre alle coppie gay”) di molti media dopo la conferenza-stampa di presentazione (in testa l’Ansa, ma nella lista c’è anche ‘Avvenire’).

    “Noi siamo Chiesa” ha per contro ben apprezzato, in tema di divorziati risposati, “l’apertura alla possibilità, per essi, di partecipare nella comunità cristiana a presenze liturgico-pastorali e ad attività di tipo educativo e caritativo”. Si legge nella riflessione: “Sembra un oggettivo passo in avanti e l’eliminazione di tante sofferenze e di tante esclusioni. Si pensi a quanti si sono visti rifiutare la possibilità di fare il padrino o la madrina oppure l’insegnante di catechismo o di partecipare alle strutture parrocchiali”. Conclusione: “Se questa linea passasse e si generalizzasse, non si capirebbe proprio più perché questi divorziati risposati, presenti in questo modo a pieno titolo in parrocchia, dovrebbero avere ancora problemi ad accostarsi all’Eucaristia senza suscitare scandalo”. Perché? Una spiegazione (che vale involontariamente anche per “Noi siamo Chiesa”) l’ha data il cardinale Antonelli nella prima parte di questo stesso articolo.

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