MICHEL AOUN: I RIFUGIATI? FARDELLO MOLTO PESANTE PER IL LIBANO – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 23 marzo 2017
Nel tardo pomeriggio del 16 marzo, dopo l’udienza pontificia, il neo-presidente Michel Aoun ha incontrato la comunità libanese al termine di una messa a San Marun. Nel suo intervento ha evidenziato tra l’altro il grave problema dei rifugiati e la problematicità delle ‘primavere arabe’, in realtà “inferno degli arabi, dei cristiani e del mondo”. L’omelia vibrante del vescovo François Eid, i saluti dell’incaricato d’affari Albert Samaha e del cardinale Leonardo Sandri.
Per la sua prima visita ufficiale in Europa il neo-presidente libanese Michel Aoun – eletto lo scorso 31 ottobre dopo circa due anni e mezzo di stallo – ha scelto Roma, sponda vaticana. E’ accaduto giovedì 16 marzo. Con buone ragioni, come lui stesso ha dichiarato giungendo a Roma alla vigilia: “I cristiani d’Oriente, che vivono oggi tra gravi difficoltà in una regione che è culla del cristianesimo e anche dell’islam, vedono in questa visita una luce di speranza che conferma come il Libano resterà sempre l’esempio migliore per l’avvenire dell’Oriente e del mondo”.
E di speranza ce n’è un gran bisogno, come è emerso sia nei colloqui avuti la mattina Oltretevere che nell’incontro del tardo pomeriggio con la comunità libanese.
GLI INCONTRI IN VATICANO
Ricevuto in udienza (per una ventina di minuti, come di consueto) da papa Francesco, il presidente libanese gli ha trasmesso tra l’altro l’invito a una visita in Libano sulle orme di Giovanni Paolo II (1997) e Benedetto XVI (2012). La risposta è stata immediata, a quanto si evince da quanto riferito da Aoun via Twitter: “Visiterò il Libano e pregherò sempre per esso” – ha detto Francesco, un pontefice nel cui cuore “il Libano della convivenza comunitaria occupa un posto particolare”. Del resto “i Papi hanno sempre considerato come un modello il Libano, legato da parte sua alla Santa Sede da apprezzamento e gratitudine”. Da notare che il generale Aoun ha donato al Papa una copia del Gesù Bambino di Praga vestito dei colori libanesi e realizzato dalle carmelitane di Harissa e di Kfarmasshoun; e ha ricevuto significativamente un ramo d’ulivo in bronzo (oltre alla copia dei più importanti testi magisteriali di Francesco).
Nei colloqui vaticani, proseguiti con l’incontro con il Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin, si è evidenziato il ruolo storico ed istituzionale della Chiesa in Libano, si è espressa soddisfazione per il superamento dello stallo presidenziale, si è parlato di una possibile soluzione politica del conflitto in Siria, si è riflettuto sulla situazione dei cristiani nell’area mediorientale e da parte vaticana “si è ribadito l’apprezzamento per l’accoglienza che il Libano presta ai numerosi profughi siriani”. Un tema quest’ultimo su cui Aoun è tornato con forza, come vedremo, nel discorso serale alla comunità libanese.
Nel tardo pomeriggio Michel Aoun ha raggiunto la chiesa nazionale di San Marun, dove ha partecipato a una messa presieduta dal vescovo maronita François Eid e ricca come tradizionalmente di suggestioni orientali, rafforzate dalle melodie della corale parrocchiale. Al termine, dopo lo scambio di doni (il presidente ha donato un’icona dipinta a mano di san Marun, la comunità una scultura dello stesso santo intagliata a mano nel legno del cedro del Libano, con una reliquia), i tanti presenti alla celebrazione eucaristica si sono spostati per i discorsi ufficiali e per il ricevimento nel salone d’onore e in altri spazi del Pontificio Collegio Maronita (ricevimento offerto dall'incaricato d'affari libanese presso la Santa Sede). Una trentina i Paesi rappresentati a livello diplomatico, oltre ai cardinali Tauran, Mamberti, Pell, Sandri (a sorpresa è arrivato in fin di serata anche il cardinale Parolin), ai procuratori generali delle Chiese cattoliche orientali a Roma, al vescovo copto ortodosso Barnaba El Soryani e naturalmente ai vertici maroniti romani.
IL DISCORSO DI MICHEL AOUN ALLA COMUNITA’ LIBANESE: L'INFERNO DELLA ‘PRIMAVERA ARABA’
“Sono venuto qui da un Paese accerchiato da sei anni dal ferro e dal fuoco” – ha osservato tra l’altro Michel Aoun nel suo discorso in arabo alla comunità libanese – “Dopo il ritiro delle truppe siriane nel 2005 abbiamo creduto che la pace si sarebbe installata per sempre in Libano. (…) Purtroppo nel Medio Oriente e nell’Africa settentrionale sono scoppiate le guerre: sono state chiamate “Primavera araba”, ma in realtà è stato l’inferno per gli arabi, per i cristiani e per il mondo, poiché dappertutto ci si è dovuti confrontare con il sapore del terrorismo e né gli Stati Uniti né l’Europa né coloro che hanno creato questa guerra sono stati risparmiati”. Il presidente libanese ha poi accennato alla “disinformazione mediatica” sugli avvenimenti: “Per alcuni era una guerra di indipendenza e per i Diritti dell’uomo, per altri- tra coloro che l’hanno vissuta fin dagli inizi- era una guerra di terrorismo e di distruzione”. Così in effetti è stato: “Una guerra distruttiva per i siti storici, le civiltà e anche per l’essere umano in tutti i suoi aspetti”.
I RIFUGIATI SONO PIU’ DELLA META’ DELLA POPOLAZIONE IN LIBANO
Oggi sembra che la situazione stia migliorando, ha continuato Aoun, anche se in Libano le difficoltà non mancano: “Se durante la guerra le difficoltà consistevano nel preservare il Libano come Paese stabile e messo in sicurezza, adesso siamo confrontati con un fardello molto pesante: è quello dell’esodo verso il Libano, con i rifugiati il cui numero ha oltrepassato la metà della popolazione libanese”. Qui ha evidenziato Aoun che “tale situazione nessun Paese al mondo la potrebbe sopportare, con tutte le sue ripercussioni economiche, di sicurezza e di conseguenze per lo Stato in carichi e servizi supplementari”.
Pur con tutte le difficoltà esistenti tuttavia non dobbiamo lasciarci portare alla “disperazione” e al “pessimismo”: “Posso rassicurare tutti i libanesi presenti e all’estero e tutti gli amici, che il Libano tiene bene e diverrà migliore di quello che è oggi”.
ALBERT SAMAHA: AOUN HA INCARNATO SOGNI E AMBIZIONI DI PIU’ DI UNA GENERAZIONE DI LIBANESI
Il presidente è stato introdotto da Albert Samaha, incaricato d’affari ad interim dell’Ambasciata del Libano presso la Santa Sede. Samaha, ricordato il settantesimo dei rapporti diplomatici tra San Marun e San Pietro, ha poi reso omaggio a Michel Aoun, anche quale personalità che ha marcato gli ultimi decenni della vita nel Paese dei Cedri: “E’ una visita speciale per un Presidente speciale, che ha incarnato sogni e ambizioni di più di una generazione di libanesi dopo un percorso marcato da lotte e sacrifici in difesa della gloria e del bene della Patria”.
Albert Samaha ha evidenziato l’attualità del Libano “nella costruzione di ponti tra l’Oriente e l’Occidente, nel preservare i valori dello spirito e della pace e del bene comune nell’intera regione, nonostante i pericoli e le difficoltà che sta vivendo. Dall’Oriente viene la luce e dal Libano speranza e misericordia”. Rievocati i viaggi e l’amore per il Libano di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, il diplomatico libanese ha sottolineato con gratitudine i numerosi appelli di papa Francesco perché la comunità internazionale aiuti il Paese “a sopportare il peso della crisi generata dalla presenza degli sfollati siriani che hanno oltrepassato 1,5 milioni di persone, con tutto il pericolo che questo rappresenta a livello demografico, economico e finanziario”.
L’OMELIA DEL VESCOVO FRANCOIS EID: I DOTTI MARONITI…
Veniamo ora all’omelia del vescovo François Eid (procuratore patriarcale maronita e rettore del Pontificio Collegio Maronita), pronunciata durante la messa in San Marun. Consta di due parti distinte. La prima è un interessante excursus storico sull’operosa presenza culturale maronita a Roma, a partire dal 1470, mentre il Collegio fu fondato nel 1584 da Gregorio XIII (e ‘rifondato’ nel 1890) allo scopo di “formare i Maroniti con le buone scienze ed educarli con l’ insegnamento giusto e le virtù cristiane, perché possano spargere il profumo della pietà ed annunciare la dottrina della Santa Chiesa, sui Cedri del Libano, nella loro Comunità e nei loro Paesi” (come si legge nella ‘bolla’ di fondazione). Da notare che, dopo il Sinodo libanese del 1736 (“53 anni prima della Rivoluzione francese”), la frequenza fu resa obbligatoria e gratuita, estesa anche alle donne. Insomma la fama culturale dei maroniti era tale che a Roma circolava si diceva: “Dotto come un maronita”. In conclusione della prima parte, ha osservato monsignor Eid: “I maroniti si sono aperti all’universalismo della Chiesa cattolica; si sono accostati alla vasta ricchezza culturale e scientifica dell’Occidente; sono andati incontro all’islam, con spirito di dialogo, nel rispetto della persona, dei suoi diritti umani, culturali e spirituali”.
…E LA DRAMMATICITA’ DELL’OGGI LIBANESE: SALVIAMO IL LIBANO, RESTAURANDONE l’UOMO
La seconda parte dell’omelia del vescovo maronita è stata riservata ad alcune domande tanto sferzanti quanto amare sull’attualità libanese: “Perché la terra da noi è riservata solo ai malvagi e ai corrotti? Perché il libanese che ama tanto Dio lo usa per giustificare i suoi fanatismi e le sue deviazioni? Come può amare la sua Patria ed umiliarla ogni giorno insieme con i suoi concittadini, distruggere la sua bella natura e maltrattarla come se fosse la sua proprietà privata? Povero Libano, perché i suoi figli che si chiamano ‘fratelli’ sono così tanto divisi? I libanesi amano la politica, ma quella priva di ogni principio morale e nazionale? Forse è colpa del nostro sistema educativo che li ha resi privi di lealtà, tranne che dei loro egoismi? Io non lo so. Ma so una sola cosa, che Dio scrive la nostra storia, con le nostre mani!”.
Perciò – e qui monsignor Eid si è rivolto direttamente al presidente Aoun – “la Sua elezione come Presidente, in queste circostanze difficili, prova che Dio l’ha preparata alla grande ‘missione’ (…) Lei solo, signor Presidente, è capace di far uscire il nostro Paese dalla doppiezza contraddittoria, cioè:
. Paese della cultura…e terra dei feudalismi;
. Paese della diversità… e terra dell’individualismo;
. Paese dell’emigrazione… e terra degli sfollati;
. Paese delle religioni… e terra del confessionalismo”.
Libertà vuol dire anche responsabilità. Dunque “nessuna comunità riduca o cancelli le altre comunità; esse vivano nell’equità, nella diversità del pensiero e della fede; esse assicurino l’unanimità attorno ai valori nazionali veri, nella comprensione mutua e nella massima cooperazione”. Qui monsignor François Eid ha voluto ricordare la definizione di ‘nazione’ data da Ernest Renan: “La Nazione si fonda solamente sulla volontà di vivere in comune”. Dunque “salviamo il Libano”, “restaurandone la ricchezza vera, l’uomo, con i valori del Bene, del Vero e della vera Libertà”.
IL SALUTO DEL CARDINALE LEONARDO SANDRI
Come era da attendersi le parole del vescovo Eid non hanno lasciato indifferenti i presenti nella chiesa di San Marun: e non dubitiamo che abbiano suscitato nelle menti riflessioni di vario genere. Per quanto riguarda la nostra cronaca ci resta ancora da segnalare il saluto rivolto dal cardinale Leonardo Sandri al nuovo Presidente, eletto “dopo una lunga attesa, spesso delusa”. “La Sua elezione fa rinascere la speranza di un intero popolo nella ripresa del funzionamento ordinario delle istituzioni” – ha rilevato il prefetto della Congregazione per le Chiese orientali – anche se “il Libano vive nel tempo di una forte immigrazione”. Solo “una pace giusta ed equilibrata potrebbe risolverla o, almeno, attenuarne gli effetti di tensione nell’area”.
Intanto ricordiamo che il 25 marzo il Libano vivrà di nuovo, insieme con la festa liturgica tradizionale, la “festività nazionale comune cristiano-musulmana” dell’Annunciazione a Maria. Istituita nel 2010 dal governo presieduto da Saad Hariri, si propone di far sì che la figura della Vergine, venerata da cristiani e musulmani, possa essere simbolo di unità per tutti i libanesi.