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    LA MENORAH D'ORO RISPLENDE SU PIAZZA SAN PIETRO

    LA MENORAH D’ORO RISPLENDE SU PIAZZA SAN PIETRO – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 15 maggio 2017

     

    In mostra nel Braccio di Carlo Magno a Piazza san Pietro e al Museo ebraico di Roma oltre centotrenta opere che evocano il candelabro a sette bracci, cioè il simbolo identitario più antico del popolo ebraico, dettato nella forma e negli elementi da Dio a Mosè sul monte Sinai. Nel titolo della mostra - La Menorà, culto, storia e mito - è scritto ‘Menorà’ (alla romana), a evidenziare i legami particolari con il ‘caput mundi’ che il simbolo ebraico ebbe nella sua storia, dopo che vi fece – verosimilmente-  il suo ingresso da trofeo di guerra nel 71 d.C.

     

    Si legge nella Bibbia (libro dell’Esodo, 25): (Il Signore parlò a Mosè dicendo) “Farai anche un candelabro d’oro puro. Il candelabro sarà lavorato a martello, il suo fusto e i suoi bracci; i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutti di un pezzo. Sei bracci usciranno dai suoi lati: tre bracci del candelabro da un lato e tre bracci del candelabro dall’altro lato. Vi saranno su di un braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla, e così anche sull’altro braccio tre calici in forma di fiori di mandorlo, con bulbo e corolla. Così sarà per i sei bracci che usciranno dal candelabro. Il fusto del candelabro avrà quattro calici in forma di fiori di mandorlo, con i loro bulbi e le loro quattro colonne e le quattro basi. Tutte le colonne intorno al recinto saranno fornite di aste traversali d’argento e le loro basi di bronzo. (…) Tu ordinerai agli Israeliti che ti procurino olio puro di olive schiacciate per l’illuminazione, per tener sempre accesa una lampada (…)”

    Così incominciò il cammino glorioso del simbolo identitario ebraico più antico, la Menorah. Archeologia, storia dell’arte ebraica, presenza consistente anche nell’arte cristiana in un fecondo interscambio che prosegue anche ai nostri giorni: tutto questo e anche altro vuol comunicare la grande mostra inaugurata oggi nel Braccio di Carlo Magno (dunque in Vaticano) e nel Museo ebraico di Roma, frutto dell’inedita ma fortemente voluta collaborazione tra quest’ultimo e i Musei vaticani  e presentata in anteprima alla stampa nell’atrio dell’Aula Nervi in fine di mattinata. Ne è curatore, insieme in particolare con Arnold Nesserath (Musei vaticani) e Alessandra Di Castro (Direttrice del Museo ebraico di Roma), Francesco Leone, professore associato di storia dell’arte contemporanea presso l’ Università ‘G. D’Annunzio’ di Chieti-Pescara. A lui, prima di sintetizzare quanto detto in conferenza-stampa, poniamo tre domande le cui risposte già potranno stimolare chi ci legge a qualche riflessione feconda.  

     

    FRANCESCO LEONE: LA MENORAH E’ LUCE E SAPIENZA

    Professor Leone, ripensando a quanto si legge nel brano citato dell’ Esodo, perché il mandorlo?

    Questa è una bellissima domanda: la Menorah è la stilizzazione dell’albero della vita, è un simbolo ancestrale presente già presso i Sumeri. La Menorah del popolo ebraico è la stilizzazione dell’albero del mandorlo, perché il mandorlo ha questo frutto prezioso che per gli ebrei è lo Spirito e che ha una forma ovoidale primigenia che  ricorda tempi lontani, racchiuso da un guscio duro, protettivo, accudente come dapprima era la Tenda del popolo ebraico presso cui era conservata, poi il Tempio di Salomone in cui fu trasferita nel X secolo a. C.

    Sulle vicende della Menorah se ne sentono tante: qual è la pura e semplice verità storica?

    La Menorah era certamente nel Tempio di Gerusalemme quando i babilonesi di Nabucodonosor nel 586 lo distruggono, portandola a Babilonia. Al ritorno dall’esilio babilonese, in un momento molto difficile per il popolo di Israele, viene realizzata una seconda Menorah, perché la prima originaria di Mosè, condotta nel Tempio da Salomone, era stata distrutta per sempre, probabilmente fusa per ricavarne l’oro. Questa seconda Menorah, protagonista di eventi fondamentali per il popolo di Israele come la rivolta di Giuda Maccabeo, è condotta a Roma verosimilmente (non abbiamo la certezza) dal generale Tito (poi imperatore) nel 71 d.C, dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme. Sappiamo da fonti rabbiniche certe che viene collocata nel Templum Pacis e ci resta almeno fino all’incendio dello stesso nel 192 d. C. sotto Commodo. Da quel momento in poi la storia reale della Menorah incomincia a sfaldarsi: ignoriamo se sia sopravvissuta a quell’incendio, se – da sopravvissuta – sia tornata nel Templum Pacis oppure sia stata collocata nei palazzi imperiali sul Palatino, se sia stata trafugata dai Visigoti di Alarico nel 410 o dai Vandali di Genserico nel 455, se ipoteticamente trasferita a Cartagine o a Costantinopoli… qui si lascia la storia e si entra nella leggenda, come quella riguardante un suo presunto collocamento nella Basilica di San Giovanni in Laterano.

    La Menorah e il mondo cristiano…

    La Menorah, simbolo identitario del popolo di Israele, ha accompagnato anche la storia del popolo cristiano fin dai primi secoli. La Menorah è lo strumento attraverso il quale il Signore del Pentateuco irradia la propria luce, la propria sapienza sul popolo di Israele. Luce e sapienza che verranno assunte anche dal popolo cristiano nei primi secoli della sua storia nella croce portatrice di luce e di fuoco e poi, a partire dall’età di Carlo Magno le forme della Menorah diventeranno le forme dei candelabri cristiani che arrederanno le chiese.

     

    LA CONFERENZA-STAMPA NELL’ATRIO DELL’AULA NERVI

    Aprendo la conferenza-stampa, Barbara Jatta ha evidenziato la singolarità della mostra, frutto per la prima volta della collaborazione artistica tra i Musei vaticani (di cui è da dieci mesi direttore) e il Museo ebraico. L’idea – come ha rilevato nel suo intervento Alessandra Di Castro (direttrice a sua volta del Museo ebraico) è nata quattro anni fa in un incontro con Arnold Nesselrath: la Menorah è il simbolo ebraico più antico, più della stella e a Roma acquisisce grande forza, diventando a sua volta ‘romana’. E quest’ultima è la ragione di quel ‘Menorà’  che campeggia nel titolo della mostra. Una dizione fortemente voluta – per quel che ne sappiamo – dal Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni.

    Su un altro aspetto importante ha insistito Barbara Jatta: quello della grande mostra d’arte che si accompagna al profondo significato simbolico dell’avvenimento nel quadro del dialogo ebraico-cristiano. E la Menorah è stata declinata in tanti modi dagli artisti cristiani, come appare chiaramente nel percorso cronologico delineato nel Braccio di Carlo Magno.

    Per Arnold Nesselrath (uno dei curatori), la mostra vuole anche “dare un segno di pace in un’era di turbolenze” derivate da un uso perverso della religione. Il suo allestimento è frutto di una precisa volontà di ebrei e di cristiani e il suo messaggio è potente e attuale: invita al massimo rispetto di ciò che è sacro all’altro.

    Francesco Leone (vedi intervista) ha sottolineato la ‘romanità’ della Menorah, che a Roma è giunta, restandovi certamente per oltre un secolo, prima di far perdere storicamente le proprie tracce. Doveroso renderle omaggio sia in Vaticano che nell’antico Ghetto anche a significare la comprovata garanzia di protezione dei beni culturali data in una storia bimillenaria dalla Chiesa cattolica e dalla Comunità ebraica di Roma.

    La mostra è costata circa un milione di euro ed è stata finanziata dalla Fondazione del presidente del Congresso ebraico mondiale Ronald S. Lauder e da sostenitori statunitensi cattolici dei Musei vaticani.

    Oltre 130 le opere esposte (120 nel Braccio di Carlo Magno), prestate tra l’altro da alcuni musei esteri prestigiosi come il Louvre, la National Gallery di Londra, l’Israel Museum di Gerusalemme, il Kunsthistorisches Museum di Vienna. Tante le opere preziose e quelle in ogni caso eccezionali, come la ‘Pietra di Magdala’, grande pietra a bassorilievo ritrovata nel 2009 tra i resti di una sinagoga sul lago di Tiberiade (50 a.C. – 60/70 d.C.). Notevoli ad esempio il calco del rilievo meridionale dell’Arco di Tito (la Menorah come trofeo di guerra a Roma); il bacino con iscrizione trilingue proveniente da Tarragona e ri8salente al V secolo d.C.; una serie di grandi candelabri cristiani a sette bracci, come quello di Padeborn (1300 circa); ‘La circoncisione di Gesù nel Tempio’ del 1520-24, opera molto intensa di Giulio Romano; argenti sfavillanti di epoca barocca. Presso il Museo ebraico troviamo tra l’altro un’opera a carboncino del 2014 di William Kentridge, Triumphs and Laments, tratta dal rilievo nell’Arco di Tito. In mostra anche diversi vetri di epoca romana decorati in oro, lapidi delle catacombe ebraiche di Roma, la Bibbia di San Paolo di epoca carolingia. E tanto altro, tutto meritevole di essere assaporato da un gran numero – è facile prevederlo – di visitatori (biglietto d’ingresso che comprende le due parti della mostra) a sette euro.

     

    IL CATALOGO DI “LA MENORA’ – CULTO, STORIA E MITO” E I SUOI PREFATORI

    Di grande pregio il catalogo (edito da Skira, vale molto di più dei pur consistenti 39 euro richiesti), ricco di brevi saggi e belle illustrazioni a colori. Tra i prefatori il cardinale Giuseppe Bertello (presidente del Governatorato) e il Rabbino Capo Riccardo Di Segni (“La novità importante di questa mostra congiunta è il confronto tra due mondi attraverso un simbolo. Questo simbolo è stato il logo dell’ebraismo fin dalle sue origini. (…) La fedeltà ebraica a questo simbolo non è solo nostalgica, ma espressione di una speranza di ricostruzione e restaurazione, tanto forte quanto ignorata o non compresa altrove. Grazie ai grandi progressi nel rapporto ebraico-cristiano degli ultimi decenni abbiamo oggi gli strumenti per comprendere meglio e con serenità le affascinanti implicazioni di questo strano dialogo intorno a un simbolo sacro”). Poi il cardinale Kurt Koch (“Ampie possibilità di collaborazione si offrono in campo culturale a ebrei e cristiani, soprattutto in riferimento alle radici ebraiche della fede cristiana, che meritano una rinnovata valorizzazione”), Ruth Dureghello (presidente della Comunità ebraica di Roma, “ Mondo ebraico e mondo cattolico hanno le proprie specificità, ma preservando le differenze possiamo vedere ancora meglio quanti sono i valori che ci accomunano. (…) Un cammino difficile che con perseveranza intendiamo proseguire e che anche questa occasione testimonia”), Barbara Jatta (“Sono ben consapevole dell’importanza della mostra che non intendo, tuttavia, ridurre alla sua intima correlazione con i rapporti interreligiosi, che la caratterizza quasi naturalmente ma che compete ad altri, a miglior titolo, indagare e far emergere; come direttore dei Musei vaticani son., piuttosto, convinta e orgogliosa del suo profilo artistico”), Ronald S. Lauder (presidente del Congresso ebraico mondiale, “Come papa Francesco mi ha detto una volta, essere antisemita equivale ad essere anticattolico, perché dopotutto la base del cattolicesimo è l’ebraismo. Sarà bene rammentarsene ammirando i tesori di questa mostra straordinaria e ricordare quanta strada hanno fatto due popoli diversi che in realtà sono più simili di quanto pensassero”), padre Daniel Hennessy (direttore internazionale dei Patrons of the Arts in the Vatican Museum) e Gianni Ascarelli (assessore al Museo ebraico di Roma).

     

     

     

     

     

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