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    VALORI EUROPEI: POLONIA E BUDAPEST (CON PREMESSA D'ATTUALITA')

    VALORI EUROPEI: POLONIA E BUDAPEST (CON PREMESSA D’ATTUALITA’) – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org. – 24 ottobre 2017

     

    Spunti dal Convegno sui ‘valori europei oggi’ promosso il 12 ottobre dall’ambasciata di Polonia presso la Santa Sede. Le considerazioni del ministro polacco Krzysztof Szczerski. La riunione dal 16 al 18 ottobre dei rappresentanti episcopali centro-orientali a Budapest: un comunicato di indubbio interesse. Nella ‘premessa d’attualità’ tre episodi drammatici della cronaca italiana degli ultimi giorni.

    PREMESSA D’ATTUALITA’

     

    Prima di occuparci del convegno promosso dall’ambasciata di Polonia presso la Santa Sede giovedì 12 ottobre e dell’ultima riunione a Budapest dei rappresentanti delle Conferenze episcopali dell’Europa centro-orientale, qualche breve accenno a tre fatti italiani drammatici dei giorni scorsi che inducono a considerazioni amare e preoccupate sulla società in cui viviamo, sempre più ‘fluida’ per volontà dei poteri che ci governano e dunque sempre più sfilacciata nei legami e sbiadita (ovvero indebolita) nelle identità personali.  

     

    Il primo: Como, venerdì 20 ottobre. Un padre marocchino naturalizzato italiano,  incendia l’appartamento in cui viveva con quattro figli da 3 a 11 anni, che muoiono con lui per asfissia. La madre era ricoverata da qualche tempo per una grave depressione in una struttura di recupero. La famiglia era aiutata dalla comunità locale, ma il padre, disoccupato da qualche mese, temeva che il tribunale competente in questi casi gli avrebbe sottratto i figli. Tragedia dunque della follia nata dalla disperazione derivata soprattutto della povertà. Una tragedia che mostra quanto questa nostra società ‘fluida’ e così piena di contraddizioni anche economiche (veri e propri ‘pugni in faccia’) renda tutti più fragili. Sullo sciagurato padre il velo della pietà divina.

     

    Il secondo: Roma.  Il 14 ottobre il noto liceo classico Virgilio, in via Giulia, viene occupato da alcune centinaia di studenti e sgomberato consensualmente una settimana dopo. Tale liceo è tra i preferiti della borghesia romana cosiddetta ‘progressista’, quella che si alimenta intellettualmente con gli ‘illuminati’ maitres à penser di Repubblica, giornalone fluido per eccellenza (oltre che portavoce lgbt). Dalle cronache dall’insospettabile foglio di Palazzo, il Messaggero, apprendiamo che ci sono stati molteplici danni materiali: alcune aule a soqquadro, banchi e sedie spaccati, sistema d’allarme fuori uso, servizi igienici manomessi come gli idranti con perdite d’acqua nei corridoi, imbrattamenti ovunque con una grande scritta Virgilio antifa ottobre 2017. Ma il peggio deve venire: la settimana è stata caratterizzata da un gran consumo di alcol, droghe (di ogni tipo) e sesso. L’ultima notte un grande party con ingresso a cinque euro per gli ‘esterni’. ‘Protetti’ da un “servizio d’ordine addestrato in chiave anti-Digos”, centinaia di ragazzi hanno consumato droghe varie e “dopo le due di notte alcuni si accasciano sfiniti a terra”, perché “il mix di cocktail e droghe è micidiale e mette KO anche chi è abituato a farne uso”. Fin qui il Messaggero, in cui si legge anche una considerazione devastante della preside: “La madre di una quattordicenne mi ha detto che l’occupazione è un rito di passaggio”.

    Ecco come è ridotta ormai una parte della gioventù, vittima delle proprie famiglie e di una mentalità materialista per cui si deve vivere come se Dio non esistesse: non c’è più distinzione tra bene e male, non ci sono più valori stabili e regna la ‘fluidità’, dunque non c’è più disapprovazione sociale adeguata per ciò che la ragione prima di tutto mostra essere negativo per la persona umana. Se da tante parti si ammicca sull’uso della droga (vedi su www.rossoporpora.org /rubrica Italia “ il recente “Droga: un ‘no’ senza ambiguità per un ‘sì’ alla vita”), non c’è poi da stupirsi di quel che succede anche in certe scuole.

     

    Il terzo: Roma, stadio Olimpico. Nel corso dell’incontro di campionato di domenica 22 ottobre tra Lazio e Cagliari un gruppo di ultrà laziali ha imbrattato con adesivi antisemiti (“romanista ebreo”) un settore della Curva sud storicamente romanista, che – essendo squalificata la Curva nord -era stato loro messo a disposizione dalla presidenza laziale dietro il pagamento di un euro a biglietto. Odioso se possibile ancora più degli altri l’adesivo con il fotomontaggio di Anna Frank con la maglia giallorossa. Rilevavamo su www.rossoporpora.org /rubrica Italia in un articolo di qualche giorno fa (“Roma/16 ottobre ’43: “Dovevamo esserci e non ci siamo stati”) che in Europa stanno rispuntando i fantasmi dell’antisemitismo, favoriti da un’ignoranza crassa e supina della storia e dalla grave crisi economica, che porta a cercare capri espiatori. E qui gli ebrei sono sempre stati un bersaglio ‘facile’. Gli ultrà laziali - autori dell’azione scellerata con cui hanno sfogato in modo molto inquietante la loro rabbia esistenziale - hanno offeso gravemente gli ebrei come popolo e come cittadini italiani, dileggiato la dignità della persona umana, infangato il nome della società e costringono tanti altri tifosi biancazzurri a vergognarsi di esserlo. Grave anche la corresponsabilità del presidente Lotito che, con una ‘furbata’ (o forse per altri motivi ancora peggiori), ha pensato di aggirare la chiusura della Curva nord aprendo agli ultrà quella Sud. Non pensi che la macchia sarà sbiancata da qualche ‘buona azione’ riparatrice e politicamente corretta come richiesto da tante voci, tra le quali alcune però sono screditate come quelle dei presidenti della Federcalcio, del Coni e della Camera dei deputati: no, la macchia resterà con disonore nella storia della Lazio. La società ‘fluida’ è anche quella della superficialità, dell’irrazionalità frutto delle emozioni, dell’ ‘usa e getta’ e dunque della dilagante ignoranza profonda di parti consistenti delle giovani generazioni. Con le conseguenze inammissibili, ma certo anche evitabili se c’è la buona volontà di farlo, sotto gli occhi di tutti.

     

    QUALCHE NOTA SUL CONVEGNO ‘VALORI EUROPEI OGGI’ PROMOSSO DALL’AMBASCIATA DI POLONIA PRESSO LA SANTA SEDE

     

    Giovedì 12 ottobre l’aula Alvaro del Portillo della Pontificia Università della Santa Croce ha ospitato un interessante convegno promosso dall’ambasciata di Polonia presso la Santa Sede. Dell’incontro, posto sotto il titolo “Valori europei oggi”, evidenziamo alcuni spunti che sembrano utili per una riflessione su un tema tanto controverso quanto attuale.

    Stimolante l’intervento introduttivo dell’ambasciatore polacco Janusz Kotański che - richiamati tra le fonti del pensiero europeo i nomi di Platone, Aristotele, San Tommaso d’Aquino, Dante, Shakespeare, Giovanni Paolo II – ha osservato che “viviamo in tempi turbolenti” ed è “nostro dovere” confrontarci con una serie di domande fondamentali per il futuro del nostro continente. Eccone alcune. Quanto resta fedele oggi la comunità europea alle intenzioni dei padri fondatori, quelli dell’Europa basata sulle radici giudaico-cristiane? Il concetto di ‘valori europei’ è “preciso o opinabile”? Esiste un “catalogo dei valori europei”? Si tratta di ‘valori universali’? Qual è il ruolo dei media nel promuovere o contrastare certi ‘nuovi valori’ come quello del’ ‘identità liquida’? Come influisce il fenomeno migratorio? Come si configura il confronto tra ‘valori europei’ e delle altre civiltà, come minaccia o arricchimento? Che cosa lasceremo in eredità alle nuove generazioni? La nostra civiltà giudaico-cristiana con i noti apporti greci e romani ha un futuro?

    Nel suo saluto il rettore dell’Università ospitante, Luis Navarro, ha sottolineato come l’argomento ‘Europa’ abbia appassionato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e trovi un riscontro importante anche in papa Francesco. Da parte sua il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, arcivescovo Paul Richard Gallagher, ha inizialmente configurato le radici d’Europa come sintesi dell’incontro tra filosofia greca, diritto romano e tradizione giudaico-cristiana. Il relatore ha definito “occasione persa per tutta l’Europa” il mancato inserimento di tali radici nel preambolo della Costituzione europea: allora, tredici anni fa, “si intese privilegiare una visione laica, soggetta alle mode del momento”. E, dunque, “in balia del consenso della maggioranza”.

    Se il cardinale Peter Appiah Turkson (presidente del Pontificio Consiglio dello Sviluppo umano integrale) ha espresso alcune considerazioni da ‘esterno’ all’Europa, il ministro Krzysztof Szczerski (Cancelleria del presidente della Repubblica di Polonia) ha ragionato ad ampio raggio su quel che è oggi e quel che invece dovrebbe essere l’Europa.

    Non c’è dubbio, ha rilevato Szczerski, che ci sia attualmente in Europa un grande nervosismo, che nasce da un senso di insicurezza derivato anche dalla percezione del vacillare di un fondamento stabile, quello che dà un senso al nostro agire. E’ in atto una “decostruzione” dell’Europa con l’introduzione nel catalogo dei ‘valori comuni’ di elementi nuovi, estranei alle radici giudaico-cristiane e gravemente nocivi alla dignità della persona umana.

    Oggi la politica in Europa molto spesso vuole decidere sulla definizione della persona umana, regolando principio e fine della vita. E’ il contrario di quanto dovrebbe accadere: i valori della dignità umana sono pre-politici e la politica dovrebbe essere ad essi subordinata.

    Purtroppo l’Unione europea odierna è molto diversa da quella auspicata dai padri fondatori. Dopo la caduta del comunismo, si è voluta creare un’Europa “senza Dio”, programmando – ricorda lo stesso Szczerski nel suo libro “Utopia europea” – “la rottura dei legami dell’uomo con la sua terra natia, con le generazioni precedenti, facendosi beffe della tradizione e delle antiche usanze da sostituire con la modernità”.

    Al potere oggi sono élites  europee guidate da un’utopia politica, nata dall’arroganza e dalla convinzione che i ‘cittadini’ vadano trattati come ‘sudditi’; non sono casuali le reazioni politiche (motivate con il pretesto della ‘difesa della democrazia’) e giudiziarie contro chi critica e organizza programmi alternativi.

    Per contrastare tale ‘utopia’ la storia della Polonia può essere un buon esempio da offrire alla conoscenza e alla riflessione dell’intero continente. Se visitate i cimiteri militari polacchi, noterete – ha detto il relatore – che in ognuno sono sepolti persone di tante confessioni che tutte hanno combattuto per la libertà comune, sotto le insegne della bandiera polacca. Le tombe, ha proseguito Szczerski, testimoniano di un legame profondo tra le differenti identità personali, tutte pronte a morire per la libertà della Polonia. Eppure le provenienze erano diverse, da tutta Europa: il punto è che chi ha governato la Polonia (nata nel 966) ha saputo generare un legame solido tra i cittadini. La speranza è che l’Europa guardi all’esempio polacco con le sue radici profonde nella storia e sappia rigenerarsi.

     

    STANISLAW GRYGIEL: IL GRANDE ROSARIO POLACCO HA FATTO INFURIARE IL PADRONE DEL MONDO

     

    Al di fuori del Convegno, ma sempre in relazione al tema dell’identità polacca, ci piace riproporre quanto detto, a proposito del ‘Grande Rosario polacco’, dal professor Stanislaw Grygiel, notoriamente grande, fraterno amico di Giovanni Paolo II. Nell’ampia intervista rilasciata a La Nuova Bussola Quotidiana (a firma Andrea Zambrano) si leggono tra l’altro le considerazioni seguenti di Grygiel: “Il continuo affidarsi da secoli del popolo polacco a Dio e al Suo Figlio, la fedeltà al Loro amore, la fedeltà al loro Stato che oggi esprime la loro identità culturale, danno fastidio alle forze laiciste che hanno deciso di creare un ‘nuovo ordine’ nel mondo. Il padrone di queste forze, mancando di saggezza ma non d’intelligenza, sa che le uniche armi contro la fede di un popolo di questo genere sono la menzogna forgiata dall’odio e la paura che, incussa negli uomini, li piega davanti al potere. Questo Padrone è scaltro. Presenta il suo odio per i polacchi come amore per l’umanità, criticandoli di non amarla. S’infuria, vedendo come loro non si lascino ingannare. L’Unione europea, per esempio, che odia l’Europa le cui radici sono state messe nella terra di Gerusalemme, di Atene e di Roma, con qualsiasi pretesto attacca i polacchi che amano questa vera Europa e in lei vogliono vivere. Spinti da quest’odio, i padroni dell’Unione europea si fanno beffe del Rosario con cui i polacchi chiedono a Maria di radicarli ancora più profondamente nel suo Figlio e nella Chiesa. (…) Alcuni (forse troppi) uomini di Chiesa in Occidente non comprendono questo. Perché? Perché sono uomini di poca fede, di poca cultura e di corta memoria. Non c’è allora da meravigliarsi che siano anche loro a sradicare la Chiesa da Cristo e a trasformarla in una società effimera come lo sono le altre”.

     

    A BUDAPEST I RAPPRESENTANTI DELLE CONFERENZE EPISCOPALI DELL’EUROPA CENTRO-ORIENTALE: UN COMUNICATO MOLTO SIGNIFICATIVO

     

    Dal 16 al 18 ottobre i rappresentanti delle conferenze episcopali di Ungheria, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Croazia si sono riuniti a Budapest per “discutere delle sfide attuali” con cui ci si deve confrontare nell’Europa centro-orientale. Ne è uscito un comunicato di non poco interesse. Inizialmente si fa riferimento alla visita preliminare alla “città storica di Visegrád, luogo dove i responsabili” dei popoli rappresentati “si incontravano varie volte sin dal Medioevo”. Aggiungiamo noi: in effetti lì si incontrarono nel 1335 Carlo I d’Ungheria, Casimiro III di Polonia e Giovanni I di Boemia. Del resto oggi politicamente si parla del ‘gruppo di Visegrád’ per indicare l’alleanza tra Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca, nata nel 1991 (allora però esisteva ancora la Cecoslovacchia) con un vertice dei rispettivi Capi di Stato e di governo. Da notare l’evidenza che si è voluto dare alla visita a Visegrád e, subito dopo, alla preghiera nella basilica di Eztergom, “davanti all’altare di Sant’Adalberto, martire e vescovo di Praga, nostro comune santo patrono”.

    Nel comunicato si prosegue accogliendo calorosamente il desiderio di papa Francesco per “uno slancio nuovo e coraggioso per questo amato Continente”. E si legge poi: “L’identità europea, oltre ai fattori geografici, è soprattutto un’identità culturale. Una delle maggiori forze ispiratrici di questa cultura è stata ed è ancora,  malgrado tutta la sua secolarizzazione, la religione cristiana” (NdR: da notare anche qui la voluta nettezza dell’affermazione). Andiamo avanti. “E’ un tratto caratteristico dell’identità europea la presenza di un gran numero di popoli e nazioni che hanno la loro lingua, la loro cultura, la loro esperienza storica propria, la loro genialità nell’affrontare le sfide della vita umana individuale comunitaria” (NdR: da notare qui il puntiglioso elenco di caratteristiche nazionali, che Bruxelles non deve livellare centralisticamente se vuole salvaguardare la ricchezza delle diverse esperienze storiche e culturali europee).

    Ci sono altri passi particolarmente interessanti nel comunicato. Quando i rappresentanti degli episcopati europei centro-orientali scrivono: “Preghiamo e lavoriamo per un’Europa che rispetti la vita umana sim dal concepimento fino alla morte naturale e che sia un luogo accogliente per le famiglie; per un’Europa che rispetti la libertà religiosa individuale e collettiva che spetta alla persona per la sua stessa dignità; per un’Europa che riconosca ai popoli pure la possibilità di rispettare in modo giusto quelle religioni che hanno contribuito maggiormente alla formazione della loro cultura e identità”. NdR: al primo posto vita e famiglia, poi rispetto della libertà religiosa (un tema che ormai si pone seriamente e drammaticamente per i cattolici in buona parte d’Europa) e valorizzazione dell’apporto del cristianesimo e delle altre religioni che hanno contribuito di più al configurarsi dell’identità europea. Ognuno qui potrà fare le proprie considerazioni.

    Leggiamo avanti: “Con uno sguardo accogliente scopriamo e vediamo Cristo stesso in tutte le persone umane, specialmente nei poveri, nei sofferenti, nelle persone senzatetto e in quelli che sono colpiti dalla guerra e che devono lasciare la loro patria”. NdR: ecco la carità, con un’altra puntigliosa precisazione delle categorie principali oggetto dell’accoglienza. Il termine ‘migranti’ non appare.

    Ancora, subito dopo: “Per questo motivo proponiamo un’azione concreta delle nostre Conferenze episcopali per aiutare i profughi che vivono nel Medio Oriente e che aspettano la possibilità di ritornare nei loro villaggi e nelle loro città. Ci sentiamo particolarmente solidali  con quelli che subiscono violenze e persecuzioni per la loro religione cristiana”. NdR: l’aiuto deve essere ‘in loco’ (non in Europa) e pensiamo all’Iraq, alla Siria, alla Giordania. Anche al Libano, che vive una situazione drammatica con oltre un milione e mezzo di rifugiati e il cui cardinale patriarca Béchara Raï ha chiesto un sollecito rientro dei profughi nelle zone siriane liberate. Non possiamo non ricordare qui che il governo ungherese (che ha istituito l’Ufficio per l’aiuto ai cristiani perseguitati, come i nostri lettori ben sanno) aiuta da tempo la ricostruzione in quelle terre, in sintonia con le Chiese.  

    Insomma… un comunicato interessante, no?

     

     

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