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    ACS: RAPPORTO LIBERTA' RELIGIOSA 2018 - UNGHERIA: QUALCOSA SU SOROS

    ACS: RAPPORTO LIBERTA’ RELIGIOSA 2018 – UNGHERIA: QUALCOSA SU SOROS - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 26 novembre 2018

     

    Presentato giovedì 22 novembre all’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede il Rapporto 2018  sulla libertà religiosa promosso dall’Aiuto alla Chiesa che soffre. Situazione in peggioramento in molti Paesi. Intanto martedì 20 novembre a Roma c’è stato un incontro molto interessante tra il portavoce internazionale del governo ungherese Zoltan Kovacs e alcuni giornalisti

     

    Giovedì 22 novembre l’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede ha ospitato - ad arricchire la sua già notevole serie di incontri politico-religiosi e culturali - la presentazione del Rapporto 2018 sulla libertà religiosa nel mondo, promosso da “Aiuto alla Chiesa che soffre” (ACS). “E’ un documento di rilevanza mondiale, di primissimo livello”, ha osservato nel saluto iniziale l’ambasciatore Pietro Sebastiani, che ha evidenziato come l’Italia sia ormai da anni assai sensibile al tema.

    Che cos’è l’ACS? E’ una fondazione pontificia con sedi in 23 Paesi. Sostiene in primo luogo le comunità cristiane perseguitate, discriminate o povere. E’ una fonte preziosa di informazioni sulla condizione dei cristiani nel mondo. Viene finanziata da benefattori privati: attualmente pervengono ad ACS contributi per oltre 120 milioni di euro utili per realizzare ogni anno oltre 150 progetti in 150 Stati.

    Che cos’è il Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo? Pubblicato annualmente dal 1999 (dal 2006 ogni due anni), è giunto alla sua XIV edizione, con i dati pervenuti da 196 Paesi per il periodo giugno 2016-giugno 2018. A ogni Paese è riservata una scheda che descrive il grado di libertà di fede di cui ogni gruppo religioso ha goduto nel periodo esaminato. In ogni scheda, che si apre con dati relativi alla posizione geografica, superficie, popolazione, consistenza delle varie religioni, si richiama dapprima il “quadro giuridico relativo alla libertà religiosa ed effettiva applicazione”, si prosegue con l’elenco degli “episodi rilevanti” a tale proposito registrati nel periodo in esame, si conclude con le “prospettive per la libertà religiosa”. La pubblicazione del Rapporto - ha evidenziato il presidente di ACS-Italia Alfredo Mamtovano – “non è una consuetudine, ma il dovere minimo” per il rispetto dovuto “ai circa 300 milioni di cristiani che soffrono persecuzioni in 21 Paesi e gravi discriminazioni in altri 17”. E’ questa una realtà che il “mediaticamente corretto” trascura, preferendo offrire grandi titoli a notizie molto meno importanti: eppure qui ci ritroviamo a riferire di “carne, sangue, sofferenze di tanti nostri fratelli nel mondo”. Per il cardinale Mauro Piacenza (presidente della Fondazione internazionale dell’ACS), “di fatto la libertà religiosa non è un diritto fra i tanti, e neppure è un ‘privilegio’ chiesto per la Chiesa. E’ piuttosto la roccia ferma su cui i diritti umani si fondano saldamente, poiché tale libertà rivela in modo particolare la dimensione trascendente della persona umana e l’assoluta inviolabilità della sua dignità. Per questo la libertà religiosa appartiene all’essenza di ogni persona, di ogni popolo, di ogni nazione”.

    Le novità del Rapporto 2018. Globalmente non sono positive: in questi ultimi due anni la libertà religiosa nel mondo è diminuita. Come ha rilevato Alessandro Monteduro, direttore di ACS-Italia, i cristiani sono il gruppo religioso più perseguitato nel mondo: un cristiano su sette “vive in terre in cui c’è persecuzione”. Un dato che chi non considera realmente la libertà religiosa come un diritto fondamentale – vedi l’Occidente “analfabeta” - fa fatica a comprendere. Il fondamentalismo soprattutto islamico coinvolge 22 Stati, mentre cresce anche l’ultra-nazionalismo religioso, che si manifesta soprattutto in India, Cina, Corea del Nord. Un motivo di speranza è invece dato dal ritorno a casa, nella Piana di Ninive, di una parte consistente dei cristiani iracheni: al 6 novembre scorso avevano ritrovati i loro villaggi 41057 cristiani (più della metà) e sono state riparate/ricostruite 5700 delle 14mila case danneggiate/distrutte durante l’offensiva dell’Isis.

    Gli Stati in cui – secondo i dati dell’ACS - la situazione per la libertà religiosa è talmente grave da non poter peggiorare: Corea del Nord, Arabia Saudita, Nigeria, Afghanistan, Eritrea.

    Gli Stati in cui regna la persecuzione: Bangladesh, Birmania (Myanmar), Cina, India, Indonesia, Iraq, Libia, Niger, Pakistan, Palestina, Siria, Somalia, Sudan, Turkmenistan, Uzbekistan, Yemen.

    Testimonianze/Egitto. La presentazione del Rapporto 2018 è stata accompagnata da testimonianze sulla situazione in Egitto e in Pakistan. Monsignor Botros Fahim Hanna, vescovo copto-cattolico di Minya ha ripercorso alcuni momenti del calvario dei cristiani egiziani. Ha riconosciuto che il presidente Al Sisi “fa tanto per promuovere il dialogo interreligioso”. Il problema è però che in quasi tutto l’Egitto è diffusa “la mentalità fanatica e criminale, a causa dei Fratelli musulmani, dei salafiti e di gruppi che possono fare quello che vogliono da più di mezzo secolo”. Insoddisfacente è anche l’atteggiamento dell’Università islamica di Al-Azhar, “più volte sollecitata da Al Sisi a rinnovarsi nei testi e nel pensiero”. Ma Al-Azhar “non fa il suo dovere e non riveste un ruolo per il rinnovamento del pensiero e del linguaggio islamici tradizionali e fanatici, che alimentano la mentalità chiusa, aggressiva e violenta contro le altre religioni”.

    Testimonianze/Pakistan.  L’avvocato Tabassum Yousaf, trentasettenne cattolica, ha difeso nella sua carriera (e difende) diversi cristiani vittime di discriminazioni e persecuzioni in Pakistan, collaborando tra l’altro con la Commissione Giustizia e pace di Karachi, arcidiocesi guidata dal cardinale Joseph Coutts. “I cristiani nelle scuole e nelle associazioni sono considerati e chiamati “intoccabili” e “impuri” – ha rilevato nel suo intervento alla presentazione – Certo le scuole cattoliche sono una fonte di speranza per tutti e specialmente per i cristiani. Ma il cambiamento di mentalità tra i pakistani è molto lento e intanto molti cristiani continuano a essere discriminati e perseguitati”. Tabassum Yousaf ha poi illustrato nove casi che testimoniano di tale drammatica realtà.

     

    ALCUNE VALUTAZIONI SU SINGOLI PAESI CONTENUTE NEL RAPPORTO 2018

    ARABIA SAUDITA: Ad eccezione dell’unica espressione dell’Islam legittimata dallo Stato, in Arabia saudita vi è una totale repressione della vita religiosa. (…)Nonostante alcuni incoraggianti segnali di apertura, l’Arabia Saudita è ancora responsabile di ‘violazioni sistematiche, continue e gravissime della libertà religiosa’ (Dipartimento di Stato USA, 4 gennaio 208) e continua a suscitare grande preoccupazione per quanto riguarda la libertà religiosa e i diritti umani.

    EMIRATI ARABI UNITI: Ci si può attendere che negli Emirati Arabi Uniti la libertà di religione migliori negli anni a venire. I leader della Chiesa locale descrivono il clima nel Paese come amichevole e aperto. George, un cristiano maronita nato da genitori libanesi, ha così riferito ad Aiuto alla Chiesa che soffre: ‘Gli Emirati Arabi Uniti sono un buon posto in cui i cristiani possono vivere. Vi sono dei limiti, è ovvio, ma se si impara a rispettarli, si può vivere una vita dignitosa in questo Paese’. La nuova legge contro l’odio religioso rappresenta un segno di speranza.

    CINA: In molti ritengono che il presidente cinese Xi Jinping abbia innescato quella che è la più severa repressione dei diritti umani in Cina dai tempi del massacro di Tienanmen nel 1989. Nel periodo in esame la libertà di espressione, lo spazio per la società civile e il dissenso sono severamente e ampiamente limitati, mentre aumenta la repressione nello Xinjiang, in Tibet e a Hong Kong. Con l’introduzione di nuove e ancora più restrittive norme sulla pratica religiosa, la distruzione di chiese e croci, la repressione grave e brutale dei musulmani uiguri e le osservazioni di Xi Jinping sul ruolo della religione, le prospettive per la libertà religiosa in Cina sembrerebbero estremamente negative.

    Tuttavia, almeno per quanto riguarda i cattolici, un significativo passo in avanti è costituito dall’Accordo provvisorio tra Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulle modalità di nomina dei vescovi cattolici cinesi, reso noto il 22 settembre 2018 (NdR: in verità il testo dell’accordo non è stato reso noto). (…) L’Accordo tra Cina e Santa Sede (…) getta una luce positiva sulle prospettive per la libertà religiosa dei cattolici in Cina.

    Interpellato a tale proposito durante la presentazione del Rapporto 2018, il cardinale Mauro Piacenza ha così risposto: “La situazione reale è sotto gli occhi di tutti. Che si ricerchi un’intesa ove c’è anche un piccolo spiraglio è nella natura stessa della Santa Sede” perché “da parte della Santa Sede c’è sempre il tentativo di un dialogo che faccia fare anche solo un piccolo passo avanti”.

    CUBA: La situazione offre alcune promesse positive per il futuro della libertà religiosa a Cuba. Se analizziamo la situazione degli ultimi decenni, il rispetto di questo diritto a Cuba è senza dubbio migliorato. La Costituzione ora definisce lo Stato come laico, mentre in precedenza lo definiva ateo. Quindi possiamo dire che sono state poste le basi per un progressivo rispetto della libertà religiosa. Vi sono inoltre alcune garanzie per la libertà di culto e l’esclusione dei cristiani dalle strutture sociali tradizionali è diminuita in modo significativo.

    Sebbene tutto ciò sia positivo, non è tuttavia sufficiente. Le linee guida che governano la libertà di religione e di culto sono imprecise, a volte contraddittorie e si prestano ad una considerevole arbitrarietà. Vi è quindi una lunga e difficile strada da percorrere.

    REGNO UNITO: Il diritto di manifestare le opinioni religiose viene negato nei casi in cui le credenze entrano in conflitto con le norme attuali e progressiste sul genere e la sessualità: individui e istituzioni vengono penalizzati se esprimono la loro tradizionale visione religiosa della moralità, anche se rendono note le proprie convinzioni in modo obiettivo e senza intenzione di offendere. Vi è ragione per temere che, mentre il dibattito su genere e sessualità si allontana dai modelli tradizionali, i gruppi religiosi e gli individui che eprimono le proprie opinioni in questo ambito saranno sempre più sanzionati da istituzioni governative e giuridiche.

    SPAGNA: Uno degli eventi connessi alla libertà religiosa più importanti del 2018 è stata la prima pubblicazione in Spagna di un comunicato congiunto di varie confessioni religiose in risposta agli attacchi contro i gruppi religiosi (NdR: il documento è stato firmato da ebrei, cattolici, islamici, evangelici) Nel testo si esprime ‘preoccupazione e tristezza per i continui e ripetuti attacchi contro i sentimenti religiosi dei fedeli di diverse confessioni’. (…) Nella dichiarazione si affermava inoltre: ‘Nel nostro Paese vi è ancora un’incomprensibile tolleranza sociale verso chi offende i sentimenti religiosi. In Spagna i luoghi di culto e i simboli religiosi sono profanati; i riferimenti più sacri della fede religiosa di milioni di persone sono pubblicamente derisi e disprezzati’. Nella dichiarazione musulmani, ebrei e cristiani hanno affermato di ‘ritenere inaccettabile che (i criminali) cerchino di proteggersi invocando la libertà di espressione’.

    Sebbene la libertà religiosa sia garantita nel Paese, vi è preoccupazione per il crescente numero di episodi di intolleranza anticristiana commessi da gruppi laicisti.

     

    IL PORTAVOCE DEL GOVERNO UNGHERESE A ROMA: QUALCOSA SU SOROS E LE SUE UNIVERSITA’

    Martedì 20 novembre 2018 Palazzo Falconieri in via Giulia (sede dell’Accademia di Ungheria a Roma) è stata teatro di un incontro tra Zoltan Kovacs, portavoce internazionale del Governo Orban, e un gruppo di giornalisti. Per un’ora Kovacs, che ha una formazione da storico, ha risposto a domande su argomenti diversi e tutti, per un verso o per l’altro,‘delicati’: politica dell’Unione europea, elezioni del 2019 per il Parlamento europeo,  gruppo di Visegrad, esercito comune europeo, sovranismo, politica della vita e della famiglia in Ungheria, rapporti con la Russia, immigrazione.

    In questa sede evidenziamo però dapprima quanto ha rilevato il portavoce a proposito di un altro tema, quello riguardante le vicende legate alle Università di George Soros in Ungheria.

    Innanzitutto, ha detto Kovacs, quello di Soros non è un solo ateneo, ma sono due: un’università in lingua in gran parte ungherese e una, la Central European University, che invece è in inglese e si ripropone di fornire un diploma valido anche per gli Stati Uniti. Soros con le sue propaggini mediatiche abilmente mescola le due entità, facendo credere di essere una vittima del governo Orban. In realtà l’università ungherese di Soros è parte integrante del sistema accademico nazionale, frequentata da oltre mille studenti (sui più di centomila iscritti complessivamente alle università ungheresi). La Central European University invece è l’unica università straniera che non riesce a corrispondere alle norme previste dalle leggi ungheresi: è un’entità giuridica vuota e non ha un campus, non ha un’attività accademica e non ha insegnanti, considerato come il lavoro viene svolto dalla versione ungherese. Non sarebbe “equo” nei confronti delle altre Università straniere operanti in Ungheria che fosse riconosciuta. Per quale motivo Soros si rifiuta di adempiere alle condizioni previste dalle norme ungheresi? Ora lo speculatore ‘filantropo’ ha incontrato il cancelliere austriaco Kurz (lunedì 19 novembre) per proporgli di trasferire la Central European University a Vienna: “Siamo proprio curiosi – ha rilevato Kovacs – di scoprire come Soros riuscirà a soddisfare le condizioni poste normalmente dall’Austria”.

    Tra le altre affermazioni di Zoltan Kovacs nell’incontro di Palazzo Falconieri rileviamo quella per cui “è una stupidaggine” associare sovranismo e razzismo. Per quanto riguarda le elezioni europee del 2019 esse “saranno diverse dalle precedenti”. Fin qui tali elezioni “avevano un legame diretto con le questioni interne di ogni Paese”. Il voto del 2019 vedrà invece protagonista una tematica comune, quella dell’immigrazione illegale cui sono legati anche il funzionamento e il futuro dell’UE. Proprio a proposito dell’immigrazione illegale Zoltan Kovacs ha rivendicato all’Ungheria (e al ‘gruppo di Visegrad’) il merito di averla bloccata, nell’interesse pure dell’intera Europa: “Abbiamo dimostrato che fermare l’immigrazione illegale è possibile. E’ anche una questione di volontà politica”. Del resto l’Ungheria “si è sempre presa cura delle persone che hanno richiesto l’asilo fondandosi sulle leggi vigenti nel Paese, rifugiati veri che volevano stabilirsi da noi”, molto diversi da coloro che “non rispettano le regole e raggiungono l’Ungheria senza volerlo veramente”.

    Il portavoce ha rilevato poi il sostegno che il governo Orban dà alle politiche per vita e famiglia, ciò che ha prodotto un’inversione di tendenza (comunque significativa, anche se ancora modesta) dal 2010 in poi per quanto attiene al numero di matrimoni e di nascite: “Più del 4% del nostro prodotto interno lordo (Pil) è destinato a sostenere la famiglia e la natalità. Perché non vediamo questo tipo di sforzi anche nei Paesi occidentali?”.

    Rispondendo a una nostra domanda, Zoltan Kovacs ha evidenziato gli odierni buoni rapporti (economicamente “stretti”) con la Russia di Putin e ha stigmatizzato “l’ipocrisia” di diversi Paesi occidentali che “fanno finta che le loro proficue relazioni commerciali con la stessa Russia non esistano”. In effetti “essi si permettono di fare quello che vogliono, anche con la Russia tanto deprecata ufficialmente, se è nel loro interesse”. Infine qualche dato economico: nell’ultimo trimestre il Pil si è accresciuto del 5% (nel 2010: meno 0,6%), la disoccupazione è calata dall’11,4% (2010) al 3,6%, il tasso di occupazione è aumentato dal 53% (2010) al 70%, il debito pubblico è sceso dall’84% (2010) al 71%. Ha commentato Kovacs: “Per svolte del genere c’è bisogno di avere prospettive a lungo termine e di essere fermi nelle decisioni”.

    Concludiamo con quanto osserva sulla situazione della libertà religiosa in Ungheria il Rapporto 2018 di “Aiuto alla Chiesa che soffre”: Nel Paese non vi sono stati incidenti che abbiano comportato violazioni della libertà religiosa nel periodo in esame. E’ quanto si stabilisce in seguito ad una ricerca che ha analizzato documenti nazionali e internazionali e che ha incluso la consultazione con gruppi di difesa dei diritti umani, tra cui l’Unione delle libertà civili ungheresi, la Fondazione per l’azione e la protezione e il Comitato di Helsinki.(…) Nonostante i media sostengano che il Paese rappresenti un focolaio di sentimenti antisemiti e anti-islamici, nel periodo in esame non si sono verificati episodi violenze motivati dall’odio religioso. Ciò dimostra che vi è un alto livello di tolleranza e fiducia nella società e che le persone sono in gran parte impermeabili ad una simile propaganda (NdR: chissà se il direttore di ‘Avvenire’ Tarquinio il Superbo e i suoi accoliti di politica dell’Europa centro-orientale avranno letto queste righe a firma ‘Aiuto alla Chiesa che soffre’… in ogni caso, pur se con poche speranze, glielo consigliamo caldamente…)

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