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    CHAMBESY/IL CARDINAL KOCH SUI RAPPORTI CON GLI ORTODOSSI

    CHAMBESY/IL CARDINAL KOCH SUI RAPPORTI CON GLI ORTODOSSI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 6 gennaio 2020

     

    Nell’anniversario dell’ordinazione episcopale per mano di Giovanni Paolo II (6 gennaio 1996), riproduciamo alcuni passi rilevanti della conferenza che il cardinale Kurt Koch ha tenuto recentemente sul tema dei rapporti tra cattolici e ortodossi a Chambésy (vicino a Ginevra) presso il Centro del Patriarcato ecumenico.

    Una conferenza di indubbio spessore quella che il cardinale Kurt Koch ha tenuto il 16 dicembre 2019 a Chambésy (comune confinante con Ginevra), presso il locale Centro ortodosso del Patriarcato ecumenico. Il tema trattato dal porporato svizzero-tedesco - presidente dal 2010 del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei Cristiani – riguardava lo stato del dialogo ecumenico tra cattolici e ortodossi. Ne è emerso che ormai da diversi anni i progressi sono de facto molto modesti. E oggi, ad appesantire una situazione di per sé già complicata, sono intervenute le gravi tensioni intra-ortodosse tra Patriarcato di Mosca e Patriarcato ecumenico di Costantinopoli a proposito del riconoscimento dell’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina. L’ultimo sviluppo si è avuto con la decisione del Sinodo patriarcale di Mosca del 26 dicembre 2019 di sospendere le relazioni con il Patriarcato ortodosso greco di Alessandria d’Egitto e di tutta l’Africa proprio a causa di tale riconoscimento. Una decisione analoga era già stata presa, per gli stessi motivi, nei confronti della Chiesa ortodossa greca.

    Il sessantanovenne cardinale Koch è stato nominato vescovo il 6 dicembre 1995 (San Nicolao-Skt. Niklaus) e ordinato in San Pietro da Giovanni Paolo II il 6 gennaio 1996 (Epifania – Re Magi – die Drei Könige), proprio 24 anni fa. Del suo ampio intervento a Chambésy riproduciamo sotto alcuni passi significativi (che abbiamo tradotto dall’originale francese).

    Il Grande Scisma tra Oriente e Occidente: Veniamo al grande scisma nella Chiesa tra Oriente e occidente, generalmente legato all’anno 1054, quando furono emesse le scomuniche reciproche tra Roma e Costantinopoli. Certamente si tratta più di una data simbolica che non storica. In effetti , nella cristianità occidentale e orientale, già dai primi tempi il Vangelo di Gesù cRisto è stato ricevuto in modo differente, è stato vissuto e trasmesso in tradizioni e forme culturali diverse. Nel primo millennio le comunità ecclesiali in Oriente e n Occidente hanno convissuto con queste differenze in un’unica Chiesa. Però sempre più si sono allontanate le une dalle altre, comprendendosi sempre di meno. Sono prime di tutto proprio tali differenze, di modi di comprensione e di spiritualità, che hanno causato in gran parte la divisione nella Chiesa, come ha detto bene il cardinale Walter Kasper: “I cristiani non erano in disaccordo sostanzialmente e non si sono accapigliati su formule dottrinali divergenti, ma hanno vissuto separati gli uni dagli altri”.

    ‘Filioque’ e dintorni: Nel corso del crescente allontanamento è però vero che differenti approcci teologici hanno giocato un ruolo che ha successivamente portato alla grande disputa attorno al ‘Filioque’, ovvero alla professione di fede che afferma che lo Spirito Santo procede dal Padre o, come hanno invece detto i Latini, dal Padre e dal Figlio. Tuttavia anche questa divergenza non ha inizialmente costituito un grande ostacolo, come testimoniano non solo l’utilizzazione di tale formula da parte del vescovo milanese Ambrogio – che non ha provocato traumi in Oriente – ma anche la dichiarazione di Massimo il Confessore nel VII secolo, che ha difeso l’utilizzazione dell’espressione latina e l’ha perfino dichiarata compatibile con il punto di vista greco. (…) Più tardi però, quando divenne impossibile comprendersi reciprocamente, le differenti concezioni teologiche sono diventate occasione di polemiche e la questione del ‘Filioque’ è stata considerata come la maggior ragione dello scisma che stava per concretizzarsi nella Chiesa.

    Anni Ottanta, segni di speranza. Anni Novanta, complicazioni: Tra il 1980 e il 1990, nel corso del primo decennio di dialogo teologico ortodosso e cattolico, sono state identificate ampie convergenze su questioni fondamentali della fede e di grande importanza teologica. (…) L’obiettivo tuttavia non è stato raggiunto perché nel decennio 1990-2000 il dialogo ecumenico è divenuto sempre più difficile e quello teologico si è quasi bloccato. Una delle ragioni principali di ciò derivava dal nuovo contesto emerso dai mutamenti politici del 1989. (…) In effetti tali mutamenti avvenuti nell’Est europeo hanno permesso alle Chiese cattoliche orientali – principalmente in Ucraina, Transilvania e Romania dove erano state brutalmente perseguitate durante la dittatura staliniana e costrette a essere integrate nella Chiesa ortodossa – di lasciare le catacombe e di tornare alla vita pubblica. Da parte ortodossa gli avvenimenti hanno ravvivato le antiche polemiche riguardanti l’uniatismo e il proselitismo, ciò che ha pesato molto sul clima del dialogo (…) insomma, negli Anni Novanta, il dialogo ecumenico si è concentrato in primo luogo sui problemi dell’uniatismo e del proselitismo che, per gli ortodossi, costituivano il maggior pericolo per tale dialogo.

    Nuovi tentativi previsti (dopo quelli faticosi di Balamand, Baltimora, Belgrado, Ravenna, Pafo, Vienna, Amman, Chieti): Il prossimo compito consisterà nel proseguire lo studio del tema ‘Primato e sinodalità nel secondo millennio e oggi’. Come è già emerso nel documento di Chieti, non è facile pervenire a una lettura comune della storia e tale difficoltà si accentua naturalmente a motivo delle differenti evoluzioni che hanno subito la dottrina e la pratica della Chiesa da parte cattolica e ortodossa nel corso del secondo millennio, cioè durante un periodo in cui i cristiani in Oriente e in Occidente hanno vissuto perlopiù separati gli uni dagli altri. (…) Il nuovo documento tenta dunque di analizzare più da vicino i differenti contesti dell’epoca e i modi in cui le Chiese differenti tra loro vivevano la relazione tra primato e sinodalità. (…) La Commissione consacrerà i suoi lavori futuri al tema ‘Verso l’unità della fede. Questioni teologichee canoniche’. La prima tappa consisterà nel ricapitolare quanto fatto nel dialogo teologico così da identificare, in un secondo tempo, le questioni teologiche e canoniche che devono ancora essere risolte per pervenire tra ortodossi a cattolici a quella unità nella fede che aprirà la via alla comunione eucaristica.

    Ma le tensioni intra-ortodosse…: Purtroppo il dialogo ortodosso-cattolico è oggi oscurato dalle tensioni profonde tra il Patriarcato russo di Mosca e il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli sulla questione della Chiesa ortodossa autocefala in Ucraina. Ciò ha delle conseguenze anche sulla Commissione mista internazionale per il dialogo teologico, dato che – in risposta alle decisioni del Patriarca ecumenico Bartolomeo I riguardo all’Ucraina – il Santo Sinodo del Patriarcato di Mosca ha vietato la partecipazione di suoi rappresentanti a tutte le commissioni co-presiedute da un vescovo del Patriarcato ecumenico. Tuttavia, siccome le Chiese ortodosse hanno dichiarato che l’assenza di una o più Chiese ortodosse non può comportare l’annullamento totale del dialogo, la Commissione proseguirà i suoi lavori.

    Prospettive sui nodi della sinodalità e del primato. Uno sguardo complessivo alla storia dei lavori teologici della Commissione internazionale indica che oggi non è ancora possibile determinare quando sarà trovato un accordo credibile e duraturo sulla questione del primato del Vescovo di Roma. Il problema è difficile da risolvere e perciò necessiterà ancora di numerose ricerche storiche e di un lavoro approfondito di riflessione teologica. (…) Il punto forte delle Chiese ortodosse consiste nella loro sinodalità, ragione per la quale papa Francesco ha sottolineato a più riprese che la Chiesa cattolica, nel suo ‘dialogo con i fratelli ortodossi, (ha) la possibilità di imparare qualcosa di più sul senso della collegialità episcopale e sull’esperienza della sinodalità’. (…) D’altra parte ci si dovrebbe attendere dalle Chiese ortodosse che esse riconoscano grazie al dialogo ecumenico che una primazia è non solamente possibile e teologicamente legittima al livello universale della Chiesa, ma altresì necessaria. Le tensioni interne all’ortodossia lasciano intendere che sarebbe utile riflettere a un ministero di unità su piano universale. E ciò non va per nulla contro l’ecclesiologia eucaristica così cara agli stessi ortodossi, ma al contrario è compatibile con essa, come non cessa di richiamare il metropolita John D. Zizioulas, già co-presidente della Commissione mista internazionale.

    Verso una comunione eucaristica, se…: Solo la volontà reciproca di imparare gli uni dagli altri può condurci sulla via della ricomposizione della Chiesa una e indivisa in Oriente e in Occidente. Tuttavia non possiamo esprimere tale convinzione in modo credibile che superando il discorso abituale che descrive la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica come due Chiese distinte. (…) La ricomposizione della Chiesa una e indivisa in Oriente e in Occidente deve avere come obiettivo la ripresa della comunione eucaristica che il Patriarca Athenagora e Papa Paolo VI cinquant’anni fa attendevano così appassionatamente come dimostrano le parole di Athenagora nel 1968: ‘L’ora è venuta del coraggio cristiano. Amandoci gli uni gli altri, professiamo la comune fede antica, procediamo tutti insieme verso la gloria del santo altare comune così da concretizzare la volontà del Signore, così che la Chiesa risplenda, il mondo creda e la pace di Dio scenda su tutti’.

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