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    GIORNO RICORDO/TOGLIATTI E TITO - ANCORA SU 1938-2025/RUSSIA:MINACCIA?

    GIORNO RICORDO/TOGLIATTI E TITO – ANCORA SU 1938-2025/ RUSSIA:MINACCIA? – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 11 febbraio 2025

    Un saggio molto interessante e di agevole lettura di Marino Micich sui rapporti tra il PCI e i comunisti jugoslavi tra il 1943 e il 1954 in materia di confini orientali: guerra, foibe, esodo – Reazioni di lettori all’ultimo Rossoporpora.org che riportava citazioni di Franco Cardini e un discorso di Mattarella: un commento sull’evocata ‘minaccia russa’ da parte di Danilo Mazzarello, giornalista ticinese.

     

    TOGLIATTI, TITO E LA VENEZIA GIULIA – LA GUERRA, LE FOIBE, L’ESODO 1943-1954 (MURSIA)

    Il Partito Comunista Italiano sbagliò a tacere sull’Istria. C’è una grande responsabilità del PCI per il silenzio sull’esodo dall’Istria, da Fiume e dalle coste dalmate. Ciò accadde perché il confine ideologico è prevalso su quello geografico”. Così si espresse Luciano Violante in una dichiarazione a ‘Il Giornale’ del 27 gennaio 2004, un paio di mesi prima della promulgazione da parte del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi della legge istitutiva del Giorno del Ricordo (fissato ogni 10 febbraio). La dichiarazione allora suscitò clamore, venendo da un ex-magistrato e parlamentare di radici comuniste, già presidente (ritenuto molto equilibrato) della Camera dei deputati dal 1996 al 2001.

    E’ proprio questa, non a caso, la citazione che apre “Togliatti, Tito e la Venezia Giulia – La guerra, le foibe, l’esodo 1943-1954”, puntigliosa e rigorosa indagine storica di Marino Micich (direttore dell’Archivio Museo storico di Fiume), freschissima di stampa (Mursia editore, 2025).

    Annota il prefatore Giovanni Stelli (presidente della Società di Studi Fiumani), che Micich nel suo saggio (di agile lettura) evidenzia come il PCI guidato da Togliatti si ponesse negli anni conclusivi della Seconda Guerra Mondiale come priorità assoluta la concretizzazione di una trasformazione rivoluzionaria della società e dello Stato, in linea con le strategie degli altri partiti comunisti guidati da Mosca. In tale contesto la questione dell’appartenenza nazionale dei territori dell’Adriatico orientale per il PCI non costituiva una priorità. Lo era invece per i comunisti jugoslavi, nel contempo internazionalisti ideologicamente e nazionalisti nella (anche feroce) concretezza quotidiana. Non ci si può stupire allora della sostanziale subalternità del PCI di allora (poi parzialmente corretta, specie dopo l’espulsione dei comunisti jugoslavi dall’Internazionale comunista nel 1948) alle politiche espansionistiche ai confini orientali dell’Italia attuate dalle milizie partigiane rosse agli ordini del maresciallo Tito. Come scrive Micich a pag. 27, “indubbiamente l’alleanza tra i due partiti comunisti alla fine arrecò gravi e irreparabili danni all’italianità delle terre istriane, fiumane e dalmate”.

    Il saggio (di circa 160 pagine) comprende, oltre alla prefazione, cinque capitoli, un’appendice (con dati di censimenti e due documenti, tra cui una lettera del 7 febbraio 1945 di Togliatti, in qualità di vicepresidente del Consiglio dei ministri, all’allora presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi) e un ricco corredo di note (tra cui  a pagina 170 una, molto interessante, riguarda la valutazione del comportamento delle truppe italiane sul fronte jugoslavo tra il 1941 e il 1943).

    Micich parte da una panoramica della situazione europea dopo il crollo del Muro di Berlino per giungere all’approvazione della legge 92/2004 sul ‘Giorno del Ricordo’. Nel secondo capitolo (1943-44) si evoca la prima fase del massacro delle foibe e si evidenzia l’alleanza del PCI con Tito. Nel terzo si indaga sui ‘nuovi confini e la questione di Trieste’ (“Togliatti a Belgrado nel 1946, la proposta: Trieste all’Italia e Gorizia alla Jugoslavia”) e si illustra l’azione della polizia politica del regime jugoslavo, l’OZNA. Il quarto è quasi tutto dedicato alla questione di Trieste, che ritornerà all’Italia nel 1954. Nel quinto emergono le conclusioni dell’Autore, anche sulla mitizzazione che il PCI ha fatto di Tito nel corso dei decenni.

    Proponiamo ora a chi ci legge alcuni passi di indubbio interesse del saggio, di cui consigliamo vivamente la lettura.

    Pag. 20: Il PCI stabilì durante il conflitto una stretta alleanza con i partigiani jugoslavi, puntando da una parte a sconfiggere i nazisti e i fascisti sul campo di battaglia e dall’altra pensando agli sbocchi politici che si sarebbero palesati a guerra finita.

    Pag. 64: Il 19 ottobre 1944 Togliatti (…) rispose con una lettera segreta a Vincenzo Bianco (NdR: da lui incaricato di stipulare accordi riservati con i comunisti sloveni e croati), nella quale, dopo avere analizzato le sue lettere precedenti, lo invitava a far conoscere alla direzione del PCI dell’Italia settentrionale la linea politica presa in accordo con Kardelj (NdR: Edvard Kardelj, il più stretto collaboratore di Tito) (…)

    . Noi consideriamo come un fatto positivo, di cui dobbiamo rallegrarci e che in tutti i modi dobbiamo favorire, la occupazione della regione giuliana da parte delle truppe del maresciallo Tito. (…)

    . Il nostro Partito deve partecipare attivamente, collaborando coi compagni jugoslavi nel modo più stretto, alla organizzazione di un potere popolare in tutte le regioni liberate dalle truppe di Tito (…)

    . Questa direttiva vale anche e soprattutto per la città di Trieste. Noi non possiamo ora impegnare una discussione sul modo come sarà risolto domani il problema di questa città, perché questa discussione può, oggi, soltanto servire a creare discordie tra il popolo italiano e i popoli slavi (…) (NdR: da notare che Togliatti scriveva dopo che erano già avvenuti i primi massacri delle foibe, ad opera dei partigiani titini)

    . Il Partito è tenuto, in tutta l’Italia settentrionale e in tutte le regioni già libere, a sviluppare un’ampia campagna di solidarietà e una collaborazione più stretta coi popoli della Jugoslavia e col loro Governo ed Esercito Nazionale popolarizzando le conquiste democratiche di questi popoli (…)

    . pag. 104: In conclusione, a giudicare dai documenti a disposizione, Toglietti e i massimi dirigenti del PCI erano a piena conoscenza dell’azione repressiva jugoslava in Venezia Giulia. (…)

    . pag. 105: Evidentemente l’alleanza con Tito durante la guerra e fino alla scomunica di Stalin (NdR: giugno 1948) ebbe il suo prezzo da pagare nella cessione delle terre istriane, fiumane e dalmate. L’espulsione di Tito dal COMINFORM (NdR: istituzione di coordinamento tra i partiti comunisti europei sotto il controllo sovietico) fece cambiare rotta a Togliatti solo sulla questione di Trieste. (…)

     

    ANCORA SUL PARALLELISMO 1938-2025: LA RUSSIA E’ UNA MINACCIA? 

    Il Rossoporpora.org di venerdì 7 febbraio 2025 ( vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/1221-1938-2025-c-e-storia-e-storia-terrasanta-chiesa-del-battesimo.html ) ha stimolato commenti diversificati riguardo alle considerazioni sull’attualità europea dello storico Franco Cardini e del politico e presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella. C’è chi ha scritto di “condividere in toto” le affermazioni di Cardini e c’è chi rileva di apprezzare lo studioso toscano come medievista ma non “sulla storia in generale”. Anche il discorso di Mattarella a Marsiglia ha suscitato opinioni divergenti (in ambito mediatico, vedi l’apprezzamento del costituzionalista piddino Stefano Ceccanti e dello storico santegidino Agostino Giovagnoli su Avvenire, in contrasto con la definizione che del discorso ha dato Marco Travaglio: “giurassico”): tra i lettori prevalgono comunque le perplessità sul parallelismo evocato tra la politica espansionistica del Terzo Reich e quella della Russia di Putin.

    Su quest’ultimo punto proponiamo volentieri a chi ci legge le considerazioni del collega ticinese Danilo Mazzarello (già redattore del quotidiano diocesano ‘Giornale del Popolo’), elaborate soprattutto sulla base delle analisi di un noto pensatoio statunitense, il Quincy Institute for Responsible Statecraft di Washington. Il Quincy punta su una politica estera statunitense caratterizzata della moderazione e dal pragmatismo, sintetizzati nel “meno guerre, più incisività nella diplomazia”.  

    La narrativa dell'imminente invasione russa. Una prospettiva demografica, economica, storica e strategica ( di Danilo Mazzarello)

    Le recenti dichiarazioni del segretario generale della NATO, Mark Rutte, e della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, secondo cui la Federazione russa si preparerebbe a invadere l'Europa, sollevano interrogativi che meritano un'analisi approfondita. Anche il presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, nel suo recente discorso all’Università di Aix-Marseille, ha riproposto la stessa tesi, evocando parallelismi storici tra le politiche espansionistiche del Terzo Reich e della Russia di Putin.

    Questa tesi sembra contraddire le dichiarazioni del Cremlino, che non ha mai minacciato di voler espandere il suo dominio militare oltre l’Ucraina e sul resto d’Europa. Inoltre, sembra trascurare quattro elementi fondamentali: la realtà demografica della Russia, la sua ricchezza di materie prime, la storia delle relazioni tra Russia e Occidente e le implicazioni strategiche di un eventuale conflitto.

    Un territorio vastissimo e una popolazione relativamente piccola

    La Russia è il Paese più vasto del mondo: il suo territorio si estende su una superficie di oltre diciassette milioni di chilometri quadrati. Tuttavia, la sua popolazione è relativamente piccola: ammonta, infatti, a circa 146 milioni di persone. La densità demografica media è di appena otto abitanti per chilometro quadrato, una delle più basse al mondo. Questo fattore non muterebbe di molto neppure se si volesse prendere in considerazione solo la parte europea della Federazione: i suoi 4'238'500 chilometri quadrati di superficie ospitano l’ottanta per cento della popolazione russa con una densità di 27 abitanti per chilometro quadrato. In paragone l'Unione Europea ha una densità demografica media di circa 112 abitanti per chilometro quadrato. I Paesi Bassi di Mark Rutte superano addirittura i cinquecento. Vi è anche un altro fattore da considerare: in Russia il tasso di natalità decresce dagli anni Settanta. Secondo alcune stime, la popolazione russa diminuisce di circa mezzo punto percentuale l’anno. La bassissima densità demografica, per giunta in calo, rende difficile immaginare come la Federazione russa possa avere le risorse umane necessarie per intraprendere un'invasione su larga scala dell'Europa. Un'operazione militare di tale portata richiederebbe non solo un enorme dispiegamento di truppe, ma anche una capacità logistica e infrastrutturale che la Russia, con la sua popolazione relativamente piccola e dispersa su un territorio immenso, faticherebbe a sostenere. Pertanto, è opportuno domandarsi: perché un Paese che governa il territorio più vasto e spopolato del mondo e ha una popolazione in decrescita dovrebbe voler espandere il suo dominio?

    Un Paese dalle risorse immense

    La Federazione russa possiede una significativa percentuale delle risorse energetiche mondiali: circa il 12% della produzione di petrolio, il 25% delle riserve di gas naturale e il 15% della produzione globale di carbone. Per quanto concerne le risorse alimentari, la Federazione russa è uno dei principali esportatori di grano: nel 2023 deteneva circa il 18% delle esportazioni globali. Grande produttore di orzo e mais, il Paese è anche il principale esportatore di olî vegetali con una quota di mercato globale che si aggira attorno al 30%. Pertanto, è lecito domandarsi: perché mai un Paese dall’estensione immensa e autosufficiente dal punto di vista energetico e alimentare dovrebbe ambire a conquistare altri territori?

    La Russia, potenza aggressiva?

    La Storia insegna che in ripetute occasioni sono stati gli Occidentali a minacciare la Russia e non il contrario. La Svezia la invase durante la Guerra di Ingria (1610- 1617), la Polonia durante la cosiddetta Lunga Guerra (1654-1667). Polacchi e Svedesi tornarono a invadere la Russia durante la Grande Guerra del Nord (1700-1721). Nel 1812 i Francesi, capitanati da Napoleone Bonaparte, invasero la Russia con un esercito di oltre seicentomila uomini, ventisettemila dei quali Italiani. Durante la Prima Guerra Mondiale (1914-1918) la Germania e l'Austria-Ungheria varcarono i confini russi. La stessa cosa fecero le potenze occidentali durante la guerra civile russa (1917-1922). La Germania nazista invase l'Unione Sovietica nel 1941. A questa campagna partecipò il Corpo di Spedizione Italiano (CSIR), ampliato nel 1942 e ridenominato Armata Italiana in Russia (ARMIR). Queste ripetute aggressioni hanno lasciato un'impronta profonda nella memoria collettiva russa, contribuendo a plasmare una mentalità difensiva contrassegnata dalla sindrome da accerchiamento. Pertanto, la Russia ha sempre cercato di proteggere i suoi confini e di garantire la sicurezza del proprio territorio. Talvolta, lo ha fatto soffocando rivolte al fine di mantenere la propria influenza sugli Stati cuscinetto. L’URSS lo fece nel 1956 in Ungheria e nel 1968 in Cecoslovacchia. In tempi più recenti la Federazione russa è intervenuta militarmente in alcune regioni del Caucaso, il che dimostra quanto sia vitale per i Russi la necessità di avere una zona cuscinetto ai propri confini. Tuttavia, questo modus operandi non è prerogativa dei Russi. Gli Statunitensi stessi sono intervenuti militarmente in numerosi Paesi più o meno limitrofi per anticipare o sventare future minacce alla loro sicurezza nazionale.

    Il dilemma nucleare

    Rutte e von der Leyen affermano che l’Europa deve armarsi per fronteggiare il nemico russo. Probabilmente si riferiscono ad armamenti convenzionali come aerei, navi, missili e carri armati. Tuttavia, vista la sproporzione delle forze in campo – 146 milioni di russi contro gli oltre 740 milioni di europei e i 350 milioni di nordamericani – sembra logico pensare che una guerra tra la Federazione russa e l’Occidente si trasformerebbe presto in un conflitto nucleare. Orbene, la Russia possiede un arsenale nucleare di circa seimila testate, il più grande al mondo. Dinanzi a questa minaccia, a che cosa servirebbero i carri armati, i jet e i missili convenzionali? In uno scenario di guerra totale, le armi convenzionali perderebbero rapidamente di rilevanza, poiché il conflitto si sposterebbe inevitabilmente sul piano nucleare. In tale contesto, la deterrenza nucleare diventa l'unico fattore veramente decisivo, rendendo obsoleti e inutili gli sforzi di riarmo convenzionale.

    Conclusioni

    Alla luce di questi argomenti, la tesi secondo cui la Russia si preparerebbe a invadere l'Europa appare poco plausibile. La realtà demografica della Federazione russa, con una popolazione ridotta e dispersa su un territorio immenso, rende difficile immaginare un'invasione su larga scala. Inoltre, la storia delle relazioni internazionali ci insegna che in ripetute occasioni sono stati gli Occidentali a minacciare e invadere la Russia e non il contrario. Infine, la presenza di un vasto arsenale nucleare russo rende discutibile l'utilità di un riarmo convenzionale europeo, poiché qualsiasi conflitto su larga scala rischierebbe di trasformarsi rapidamente in un confronto nucleare. Questo non significa che la Russia non rappresenti una sfida per la sicurezza europea, ma è importante evitare di cadere in una narrativa allarmistica che rischia di alimentare tensioni inutili. Un approccio più equilibrato e basato sui fatti potrebbe contribuire a una migliore comprensione delle dinamiche internazionali e a una gestione più efficace delle relazioni tra la Russia e l'Europa.

    Fonti: Quincy Institute for Responsible Statecraft, Right-Sizing the Russian Threat to Europe, July 2024, Quincy Brief n° 60. Osservazioni dal segretario generale della NATO Mark Rutte alla Commissione per gli affari esteri e alla Sottocommissione per la sicurezza e la difesa del Parlamento europeo, 13 gennaio 2025. Discorso del presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella per il conferimento della laurea honoris causa dell’Università di Aix-Marseille, 5 febbraio 2025. Il testo è stato inviato dall’Autore anche al ministro degli esteri elvetico, il consigliere federale Ignazio Cassis.

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