GIORNO DEL RICORDO/ POLA: L’AGONIA, L’ESODO 1945-47 – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 10 febbraio 2022
Nel bel volume di Roberto Spazzali (Ed. Ares e Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata) la testimonianza della tragedia che investì l’antica Alba Julia (insieme con le terre dei confini orientali d’Italia) negli anni dalla caduta del fascismo alla cessione alla Jugoslavia comunista di Tito a seguito della firma del Trattato di pace del 10 febbraio 1947.
Ritorna oggi la celebrazione in tutta Italia del ‘Giorno del Ricordo’, istituito ufficialmente dalla Repubblica nel 2004 per onorare la memoria delle migliaia di infoibati e assassinati in modi diversi negli anni 1943-47 dai partigiani comunisti jugoslavi e delle centinaia di migliaia di esuli che dal 1943 al 1954 dovettero abbandonare Istria, Dalmazia, Fiume occupati dalle stesse milizie agli ordini di Josip Borz Tito.
Anche quest’anno la ricorrenza è stata contestata da frange della sinistra. Che si sono stracciate le vesti in Piemonte per un manifesto-verità della Regione (in cui si vedevano soldati vestiti di nero con la stella rossa sul berretto incombere minacciosi sulla popolazione italiana in fuga). E che, altro esempio significativo, hanno organizzato ieri presso l’Università per stranieri di Siena, su impulso del rettore Tomaso Montanari, un seminario intitolato “Uso politico della memoria e revanscismo fascista: la genesi del Giorno del Ricordo”. Si ricorderà che lo stesso Montanari aveva definito la legge istitutiva del 2004 come “il frutto di una battaglia revisionista e il più clamoroso successo della falsificazione storica da parte della destra più o meno fascista”. Di simil-Montanari ce n'è ancora in giro un bel gruzzolo: si arroccano in certi media, in certe università, in certe scuole medie superiori. Sono docenti in genere di lettere, storia, filosofia, magari anche (sia detto con profonda vergogna) di religione: nella mentalità sono parenti stretti di quegli attivisti comunisti che il 18 febbraio 1947 alla stazione di Bologna accolsero il convoglio merci che trasportava centinaia di esuli da Pola con un lancio di sassi e ortaggi, versando sui binari il latte per i bambini preparato dalla Pontificia Commissione di Assistenza e dalla Croce Rossa italiana.
A tutti costoro vale la pena di ricordare quello che disse per il Giorno del Ricordo del 2007 l’insospettabile presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (di salde radici comuniste, tanto che nel 1956 si schierò a fianco della repressione sovietica della rivolta d’Ungheria… ma poi sconfessò nelle parole e nei fatti tale scelta):
: “Da un certo numero di anni a questa parte si sono intensificate le ricerche e le riflessioni degli storici sulle vicende cui è dedicato il ‘Giorno del Ricordo’ : e si deve certamente farne tesoro per diffondere una memoria che ha già rischiato di esser cancellata, per trasmetterla alle generazioni più giovani, nello spirito della stessa legge del 2004. Così, si è scritto, in uno sforzo di analisi più distaccata, che già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell'autunno del 1943, si intrecciarono ‘giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento’ della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una ‘pulizia etnica’.”
Esemplare anche una delle dichiarazioni di Sergio Mattarella, quella per il Giorno del Ricordo 2020: “Il ‘giorno del Ricordo’, istituito con larghissima maggioranza dal Parlamento nel 2004, contribuisce a farci rivivere una pagina tragica della nostra storia recente, per molti anni ignorata, rimossa o addirittura negata: le terribili sofferenze che gli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia furono costretti a subire sotto l’occupazione dei comunisti jugoslavi. Queste terre, con i loro abitanti, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, conobbero la triste e dura sorte di passare, senza interruzioni, dalla dittatura del nazifascismo a quella del comunismo. Quest’ultima scatenò, in quelle regioni di confine, una persecuzione contro gli italiani, mascherata talvolta da rappresaglia per le angherie fasciste, ma che si risolse in vera e propria pulizia etnica, che colpì in modo feroce e generalizzato una popolazione inerme e incolpevole.
. La persecuzione, gli eccidi efferati di massa – culminati, ma non esauriti, nella cupa tragedia delle Foibe - l’esodo forzato degli italiani dell’Istria della Venezia Giulia e della Dalmazia fanno parte a pieno titolo della storia del nostro Paese e dell’Europa.
. Si trattò di una sciagura nazionale alla quale i contemporanei non attribuirono – per superficialità o per calcolo – il dovuto rilievo. Questa penosa circostanza pesò ancor più sulle spalle dei profughi che conobbero nella loro Madrepatria, accanto a grandi solidarietà, anche comportamenti non isolati di incomprensione, indifferenza e persino di odiosa ostilità. (…)
Rossoporpora.org ha sempre dato per parte sua un sia pur piccolo contributo a mantenere viva la memoria delle atrocità citate da Napolitano e Mattarella (vedi ad esempio https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/767-liceo-giulio-cesare-di-roma-foibe-e-esodo-terrorismo-e-mafia.html ). Un film molto crudo del 2018 (Red Land – Istria Rossa, regista Maximiliano H. Bruno) ha fotografato incisivamente la realtà dei tempi, incentrandosi in particolare sulla figura di Norma Cossetto, studentessa istriana torturata, stuprata, infoibata nell’estate del 1943 dai partigiani comunisti titini. Si ricorderà anche il documentario di mezz’ora “Dopo l’esodo” (trasmesso il 10 febbraio 2020 da Rai Cultura e ora su Rai play), frutto del lavoro di approfondimento di un gruppo di studenti del Liceo Giulio Cesare di Roma a riguardo del percorso seguito dagli esuli nel reinserimento anche professionale nella comunità nazionale.
LA TRAGEDIA DI POLA 1945-47: UN VOLUME BEN DOCUMENTATO DI ROBERTO SPAZZALI
Quest’anno abbiamo scelto di evidenziare alcuni contenuti di una poderosa ricerca storica di Roberto Spazzali confluita in “Pola, città perduta – L’agonia, l’esodo 1945-47”, Edizioni Ares e Istituto Regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata (Irci) di Trieste. Sulla triste sorte di Pola Rossoporpora.org aveva già pubblicato una pagina di esperienza personale veramente toccante di Lucia Bellaspiga (Avvenire), vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/465-esodo-istriano-a-pola-il-cancello-la-mamma-la-bambina.html . Il volume (oltre 500 pagine, con un ricco apparato iconografico) di Spazzali è invece ricco di una messe di dati oggettivi che, al di là di ogni emozione, consentono di inquadrare con precisione genesi, sviluppo, conseguenze degli avvenimenti tragici che comportano la fine di Pola italiana.
Nella presentazione di Franco Degrassi (presidente dell’Irci) si evidenzia “l’impegno fondamentale” dell’istituto da lui guidato: “La necessità di agire secondo il principio e la volontà di ristabilire la verità storica dei fatti”. Letto il volume, si può ben dire che Spazzali ha onorato l’impegno, scandagliando archivi, dando la parola alle carte, traendo conclusioni basate su quanto effettivamente accaduto. Come scrive l’autore, l’esodo da Pola “non è stato provocato da falsa propaganda, anomalie o pervertimenti politici, ma ha assunto i caratteri di un movimento spontaneo fondato sulla volontà dei cittadini di Pola e dell’Istria di non subire lo straniero con la sua forza e le sue imposizioni”. Insomma, “si è preferito partire per rimanere: andare da esuli in Italia pur di conservare la propria identità. Una scelta di coscienza non sempre compresa allora e oggi non ancora capita”.
Pola, insediamento già preistorico come provano le ceramiche neolitiche, poi i reperti dei castellieri; successivamente i contatti con la cultura greca e la trasformazione in colonia romana, ridenominata dapprima in Alba Julia. L’epoca romana lasciò in eredità tra l’altro il tempio di Augusto e la celebre Arena. Pola conobbe la dominazione ostrogota, longobarda, carolingia, finché fu conquistata nel XII secolo dalla Repubblica di Venezia, di cui fece parte fino al Trattato di Campoformio del 1797. Napoleone, poi Austria fino al 1918.
Sotto Francesco Giuseppe il destino di Pola cambia. Considerata l’irrequietezza ‘risorgimentale’ dei veneziani, l’imperatore decise di spostare l’Arsenale della Marina da guerra austro-veneta dalla Laguna a Pola. Scrive Spazzali: “Il 9 dicembre 1856 l’imperatore collocava la prima pietra (…) e intorno a quell’opera sorse una città di fondazione moderna. (…) Da quella stessa città, il 15 marzo 1947 partiva, con l’ultimo viaggio del piroscafo Toscana, l’ultimo contingente di esuli, in totale 28.137 persone”.
Osserva Spazzali, riguardo a quest’ultimo periodo: “La città, provata dalla guerra, si era svuotata per il 90% dei suoi abitanti. (…) In quei ventisette mesi intercorsi tra l’insediamento del Governo militare alleato (18 giugno 1945) e l’entrata in vigore del Trattato di pace (15 settembre 1947), la città aveva sofferto la strage sulla spiaggia di Vergarolla (18 agosto 1946) con 65 morti e oltre 200 feriti, e l’omicidio per mano di Maria Pasquinelli del generale britannico Robert W. De Winton, consumato proprio nello stesso giorno della firma del Trattato di pace (10 febbraio 1947)”. Era un Trattato punitivo dell’Italia (la storia la fanno i vincitori) anche sui confini orientali, dove le sottraeva in particolare l’Istria, Fiume, le isole del Quarnero, Zara.
Se Pola era stata trasformata in una città fortezza da Francesco Giuseppe, quando l’Impero austro-ungarico si sgretolò essa passò al Regno d’Italia. In quegli anni, annota Spazzali, “c’è un fervore nazionalista che vuole imprimere un volto italianissimo alla città, che pure conserva importanti testimonianze romane e veneziane”, tra l’altro con il cambiamento della toponomastica cittadina, dei patronimici e la chiusura delle scuole non italiane. Secondo i dati statistici nel 1921 Pola (città e suburbi) contava nel 1921 circa 50mila abitanti, di cui 41mila italiani. Nel 1941 sempre a Pola nel suo complesso gli italiani erano l’85%, i croati il 14% e gli sloveni l’1%.
Impossibile in poche righe citare e a maggior ragione approfondire tutti gli aspetti significativi che caratterizzarono la situazione di Pola dalla caduta del fascismo nel luglio 1943 alle violenze, agli infoibamenti, ai rastrellamenti e alle stragi del settembre-ottobre 1943 in tutta l’Istria; dall’occupazione tedesca dell’ottobre 1943 ai bombardamenti alleati del 1944-45 (oltre 250 morti); dall’occupazione jugoslava (con la ‘caccia al fascista’) del maggio 1945 all’insediamento del Governo militare alleato (16 giugno 1945). Il colpo di grazia fu costituito dalla firma del Trattato di pace del 10 febbraio 1947 (entrato in vigore a metà settembre, con la consegna di Pola dall’Italia agli Alleati e da questi alla Jugoslavia). Un colpo di grazia non inaspettato, che già si lasciava ben presagire da metà 1946, considerati gli sviluppi della Conferenza di Parigi, in cui l’Italia sedeva da sconfitta.
UN ESODO DA ORGANIZZARE
Dal 1945 al 1947 Pola – rileva Spazzali – fu una città in stato d’assedio, isolata de facto da Trieste – essendo il resto dell’Istria già in gran parte occupata dalle truppe di Tito. Trieste era raggiungibile via mare; anche via terra ma con una strada litoranea molto faticosa e rischiosa, perché sottoposta alle vessazioni jugoslave. Nella popolazione italiana cresceva l’ansia per il futuro da oppressa che si percepiva ineluttabilmente prossimo e sempre più ci si orientava verso l’abbandono della città.
Problema angosciante anche per le autorità della neonata Repubblica italiana, che istituirono un Ufficio speciale , guidato dal vice-prefetto Giuseppe Meneghini, con sede a Venezia per pianificare e portare a termine l’esodo della popolazione di Pola. Del come fu organizzato, delle scelte fatte, delle priorità dettate e dei riscontri nella realtà del territorio e delle persone scrive l’autore, con una precisione originata dai tanti documenti del Ministero dell’Interno e delle autorità locali da lui esaminati.
Non tutto andò bene, anzi… specialmente se consideriamo quale fu l’accoglienza che gli esuli (non solo quelli di Pola) ricevettero in certe parti d’Italia e le difficoltà generalizzate di un percorso di reinserimento nel mercato del lavoro nazionale. Il volume documenta realisticamente e abbondantemente tali insufficienze, anche gravi. Tuttavia, nella Nota introduttiva, Spazzali scrive: “Se il lettore avrà la pazienza di scorrere le pagine, potrà scoprire quale sia stata la portata dell’impegno preso dai governi italiani di allora”. Non possiamo dimenticare che “era l’Italia dell’immediato dopoguerra, attraversata da fortissime tensioni politiche e sociali, ridotta a macerie materiali e morali, con centinaia di migliaia di sfollati e di profughi provenienti dalle colonie e dai possedimenti, con i prigionieri di guerra ancora in attesa di rientrare in patria, con i campi di internamento per i fascisti e per i collaborazionisti slavi che si erano consegnati agli Alleati, con i lutti e i dolori che una guerra lascia sempre in eredità. Quell’Italia si sobbarcò pure gli esuli che si apprestavano a lasciare l’Istria (…). Fu un impegno e uno sforzo senza precedenti, con i mezzi e le risorse del tempo, cui concorsero le istituzioni pubbliche, le autorità religiose, i militari di leva e migliaia di anonimi italiani”.
LA VICINANZA DELLA CHIESA ALLE POPOLAZIONI
A proposito di autorità religiose. E’ noto che decine di sacerdoti e laici pagarono con la vita, assassinati dalle milizie comuniste jugoslave, la loro testimonianza per Cristo: per tutti citeremo don Angelo Tarticchio, parroco di Villa di Rovigno (settembre 1943) e don Francesco Bonifacio, parroco di Villa Gardossi (settembre 1946, beatificato come martire in odium fidei nel 2008 – vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/129-la-beatificazione-di-don-francesco-bonifacio.html ). Tutti bersaglio, come scrive Spazzali, “delle azioni più violente e delle intimidazioni tese a demolire il loro ruolo di aggregazione identitaria e sociale, scorgendo in loro un tenace avversari del regime, e a sostituire la fede cattolica con il dogma comunista”. Nel volume sono ben documentate anche le molteplici iniziative caritative della Chiesa a sollievo della sofferenza del popolo, dalla distribuzione di pasti caldi (a Pola 30020 pasti dal 28 gennaio al 20 marzo 1947) e di coperte ai sussidi erogati a ogni profugo bisognoso, fino al reperimento di case e lavoro in tutta Italia per gli esuli. Iniziative promosse sia della Chiesa locale - con gli eroici vescovi Raffaele Radossi (Pola-Parenzo) e Antonio Santin (Trieste- Capodistria) - che nazionale, affiancate concretamente dalla Santa Sede tramite l’azione costante e feconda della Pontificia commissione di assistenza presieduta da mons. Ferdinando Baldelli. Fu insomma creata un’estesa, capillare rete cattolica – ben funzionante - in aiuto ai profughi.
LA STRAGE DI VERGAROLLA
Nell’XI capitolo Spazzali rievoca – oltre all’attentato del 10 febbraio 1947 ad opera di Maria Pasquinelli contro il generale inglese De Winton - la già citata strage sulla spiaggia insanguinata di Vergarolla, preceduta da cupi segnali premonitori ovvero uno stillicidio di attentati contro case e circoli italiani a partire da Trieste. Successe domenica 18 agosto 1946, durante i festeggiamenti per il 60.mo anniversario di una società sportiva, la Pietas Julia: “Alle 14.15, in un momento di pausa delle gare, ben ventotto tra mine, testate di siluro e vari residuati già disattivati scoppiano improvvisamente. Quattrocento chili di tritolo. Si contano 65 morti di cui 59 identificati (alcune fonti accennano a 116 morti), decine di feriti, di cui 19 con gravi mutilazioni. L’oscillazione delle cifre è data dalla presenza nei dintorni di un accampamento dove alloggiavano diversi istriani che già avevano abbandonato i loro paesi e si erano trasferiti a Pola in attesa di momenti migliori”. Un’inchiesta sollecita del Governo militare alleato (inglese) di Pola escluse la casualità dell’accaduto, che aveva “indiscutibili analogie” con l’attentato dinamitardo sventato una settimana prima sulla spiaggia di Barcola (Trieste). Sui responsabili della strage non si è ancora raggiunta una certezza, anche se tutto porta a credere al coinvolgimento diretto dei comunisti jugoslavi. L’effetto fu dirompente: ormai “la popolazione s’incamminava verso l’esodo, sapendo che quella era l’unica strada per liberarsi da un incubo”.
LE CIFRE DELL ’ESODO DA POLA
Dell’esodo da Pola si fece carico la nave Toscana, che in dieci viaggi dal 3 febbraio al 20 marzo 1947 trasportò circa 12mila profughi a Venezia e a Ancona. Più di diecimila persone usufruirono invece del servizio di linea marittimo con sbarco a Trieste (dal 25 gennaio 1947). Altri 5mila profughi erano partiti da Pola con mezzi propri prima del 25 gennaio e altri 2mila dalla Zona B istriana. In totale poco meno di trentamila persone.
Largo spazio è dedicato nel volume al trasferimento delle masserizie, portate ai Magazzini Generali di Trieste, a quelli di Venezia, Ravenna, Ancona, Brindisi e non sempre recuperate dai legittimi proprietari, anche perché spesso questi ultimi si erano ritrovati a vivere in località lontane dai depositi. Per farsi un’idea, da Pola partirono circa 180mila metri cubi di mobilia, per un peso di circa 165mila quintali. Un capitolo tanto doloroso quanto complesso quello del trasloco delle masserizie, affrontato con tanto impegno ma con esiti altalenanti a causa delle precarietà esistenziali della neonata Repubblica italiana.
Per concludere ancora qualche cifra sull’esodo italiano tra il 1941 e il 1961 da Istria (con Pola), Fiume e Zara. In Istria gli italiani erano 183.500 nel 1941, ridotti a 17.455 nel 1961; a Fiume sono passati da 45.830 a 3.247; a Zara da 25.700 a 62. Sono dati che parlano da soli.
Abbiamo cercato di offrire ai lettori qualche spunto di riflessione su quanto accaduto ai confini orientali, in particolare a Pola negli anni 1943-47. Ma in “Pola, città perduta: l’agonia, l’esodo” di Roberto Spazzali, Ed. Ares e Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata c’è molto, moltissimo altro. E tutto comprovato dai documenti d’archivio indagati. Fatti, non opinioni.
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