DIOCESI LUGANO/ UNA PETIZIONE – COIRA/ PERSISTE IL BRACCIO DI FERRO – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 27 febbraio 2023
In corso nella diocesi di Lugano - retta dopo le dimissioni del vescovo Lazzeri dall’amministratore apostolico de Raemy – una raccolta di firme perché il nuovo vescovo non sia necessariamente ticinese (come prescrive la vigente Convenzione elveto-vaticana). Intanto nella diocesi di Coira persiste il braccio di ferro attorno al ‘Verhaltenskodex’ tra il vescovo Bonnemain e un nutrito gruppo di sacerdoti (Churer Priesterkreis) e laici.
Il vescovo di Lugano Valerio Lazzeri si è dimesso il 10 ottobre scorso perché il peso dell’esercizio dell’episcopato era divenuto per lui insostenibile. In attesa della nomina di un successore oggi la diocesi è retta da un amministratore apostolico, Alain de Raemy, vescovo ausiliare di Losanna-Ginevra-Friburgo. Il prelato sessantaquattrenne è tra l’altro stato cappellano della Guardia Svizzera pontificia dal 2006 al 2013.
Dalla seconda metà di gennaio è in corso nel Ticino (prima solo online su https://www.change.org/p/libert%C3%A0-di-nomina-del-vescovo-di-lugano, da sabato 25 febbraio anche presso banchetti in strada) una raccolta di firme perché il futuro vescovo di Lugano non debba più essere scelto esclusivamente tra i sacerdoti ticinesi (come stabilito nella Convenzione del 1968 stipulata tra Svizzera e Santa Sede). Fin qui sono state raccolte circa 1100 firme (poco più di 300 online e il resto su moduli cartacei), un numero non così irrilevante dato il sostanziale stato di crisi del cattolicesimo anche nel Ticino. La raccolta proseguirà fino a metà marzo (con proroga della scadenza iniziale prevista per il 5 marzo). Le firme saranno consegnate personalmente dai tre promotori (Luigi Maffezzoli, Maddalena Ermotti-Lepori e Giancarlo Seitz) nei giorni successivi al noto ministro degli esteri elvetico Ignazio Cassis, in vista di possibili negoziati con la controparte vaticana.
UN PO’ DI STORIA
Un breve excursus storico prima di riprodurre il testo della petizione e di proporre qualche considerazione in materia. Fin dai primi secoli dopo Cristo le terre ticinesi erano parte naturale dell’area (non solo religiosa) lombarda. In buona parte (comprese le attuali Bellinzona, Lugano e Locarno) dipendevano da Como; le valli Leventina, Blenio e Riviera, la parrocchia di Brissago e la pieve di Capriasca erano invece legate a Milano (e dunque erano di rito ambrosiano). Conquistato nei secoli XVI e XVI dai Confederati in varie fasi il territorio ticinese, divenuto poi il Ticino nel 1803 cantone sovrano, incominciò a maturare l’idea di un naturale distacco del Ticino dalla Lombardia anche sotto il profilo amministrativo religioso. Nel 1859 il Consiglio federale (governo nazionale) decretò unilateralmente la separazione de facto. Dopo alterne vicende, comprese quelle derivate dalla lotta anticattolica del Kulturkampf (con la rottura nel dicembre 1873 delle relazioni diplomatiche tra Svizzera e Santa Sede, vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/svizzera/1001-svizzera-libri-nascita-canton-ticino-rapporti-elveto-vaticani.html ) si giunse agli Anni Ottanta: a conclusione di negoziati non facili (con intervento del governo conservatore ticinese) si addivenne alla Convenzione del 1888, con la quale Lugano diveniva amministrazione apostolica in unione con la diocesi di Basilea. De facto, anche se non istituzionalmente e canonicamente, il Ticino veniva così ad essere una diocesi autonoma. Con la nuova Convenzione elveto-vaticana del 1968 (entrata in vigore nel 1971) Lugano diventava anche de jure una diocesi indipendente all'interno del territorio elvetico. All’articolo 1.3 della Convenzione, riprendendo l’analoga norma del 1888, si decretava che “il Vescovo di Lugano sarà nominato dalla Santa Sede e scelto tra i sacerdoti cittadini ticinesi”. L’odierna petizione nasce proprio dal desiderio di superare tale norma, ritenuta dai promotori ormai figlia di un’età storica ben determinata e dunque non più opportuna ai giorni nostri.
IL TESTO DELLA PETIZIONE
Ecco il testo della petizione, rivolta al consigliere federale Ignazio Cassis e al nunzio apostolico a Berna Martin Krebs:
Libertà di nomina del Vescovo di Lugano
Chiediamo a Berna e al Vaticano di rivedere la convenzione per lasciare la libertà di nomina del Vescovo di Lugano
La nomina del Vescovo di Lugano è soggetta alla convenzione tra Consiglio Federale e Santa Sede del 4 luglio 1968, contenente una clausola risalente alla convenzione del 16 marzo 1888 secondo la quale lo stesso Vescovo di Lugano deve essere scelto tra “sacerdoti cittadini ticinesi” (nel testo originale in francese “ressortissants tessinois”).
Riteniamo che questa clausola sia superata e figlia del suo tempo, e impedisca a preti della diocesi di Lugano non svizzeri o a Vescovi svizzeri di valore (come l’attuale Amministratore apostolico) di essere nominati Ordinari Diocesani a tutti gli effetti. Chiediamo che la convenzione sia rivista e venga lasciata libertà di nomina.
Comitato promotore: Luigi Maffezzoli (già presidente dell’Azione Cattolica ticinese 1998-2008, 2020-gennaio 2023) e - a titolo personale - due deputati in Gran Consiglio (legislativo ticinese): Maddalena Ermotti-Lepori (partito popolare democratico, oggi chiamato ‘Centro”) e Giancarlo Seitz (Lega). E’ quest’ultimo ad aver destato l’attenzione di Maffezzoli, segnalandogli il successo dei primi mesi di de Raemy.
LE SPERANZE DEI PROMOTORI
Quali le speranze dei promotori? Consci che qualcosa in tal senso si è già prospettato cautamente a livello diplomatico, ci si augura che la petizione dia quella spinta ulteriore necessaria per affrontare ufficialmente la questione.
Conoscendo la complessità di un negoziato diplomatico (che richiede i suoi tempi, oltre che la segretezza), realisticamente i promotori non si attendono risultati immediati, già constatabili con una nomina a breve del nuovo vescovo di Lugano. Tuttavia dalla lettura del testo della petizione sembra emergere immediatamente una preferenza per l’attuale amministratore apostolico de Raemy (escluso secondo la norma in vigore) che – osservano i promotori – in questi pochi mesi ha dimostrato grande disponibilità verso il mondo cattolico ticinese. Del resto già si è esaminata la possibilità – offerta dalle leggi in materia, con procedura accelerata – di concedergli l’attinenza ticinese dopo tre anni di domicilio in un comune del Cantone. Si può qui osservare che la nomina di un vescovo comporta sempre un’indagine approfondita sulle qualità del candidato: indagine in cui la ‘popolarità’ del singolo non è certo la qualità più importante. La solidità e l’incisività della Chiesa non si misurano con i like ….non siamo a Sanremo!
Forse percependo che l’essere stato citato e lodato nel testo della petizione avrebbe potuto tornare a proprio svantaggio, mons. de Raemy ha emesso subito (già il 18 gennaio) un breve comunicato, in cui ha rilevato di aver appreso la notizia dai media. Sulla richiesta contenuta nella petizione l’amministratore apostolico ha poi aggiunto di ritenere “di non dover prendere una posizione in merito, pur rispettando la scelta degli iniziativisti”.
Per i promotori fondamentale è comunque che il nuovo vescovo – chiunque esso sia - possa ridare vigore a una Chiesa, quella ticinese, che ritengono oggi assai rammollita pastoralmente, frenata com’è da questioni burocratiche e incidenti di percorso che spengono gli eventuali entusiasmi. Una Chiesa forse non in grado di trovare tra i suoi sacerdoti ticinesi il prossimo pastore. Sarà proprio così?
Insomma: meglio una Chiesa con un vescovo ticinese e di impatto pastorale modesto oppure una Chiesa con un vescovo venuto dal di fuori e pastoralmente molto attiva?
Indipendentemente dall’avvio ufficiale di eventuali trattative diplomatiche, i promotori sperano poi nella comprovata libertà di decisione dell’attuale Papa. Che già ha nominato un amministratore apostolico non ticinese. E che già ha dimostrato di non dare importanza eccessiva a norme per lui difficilmente comprensibili. Si può però osservare che la maggioranza degli svizzeri in genere a tali norme particolati è affezionata (pensiamo ad esempio a quella per l’elezione del vescovo di Coira, che deve passare per il capitolo dei canonici della cattedrale). A Palazzo federale c’è un ministro degli esteri come Ignazio Cassis, che certo ci terrebbe a lasciare un altro segno – dopo quello dell’apertura a Roma di una vera e propria ambasciata di Svizzera presso la Santa Sede – nella storia dei rapporti elveto-vaticani. E’ difficile però che ciò basti a convincere la diplomazia vaticana, giustamente molto attenta alla sostanza, dettagli compresi (si sa che lì si celano spesso potenziali malintesi e conflitti).
COIRA/ VERHALTENSKODEX: CONTINUA IL BRACCIO DI FERRO TRA IL VESCOVO E UN NUTRITO GRUPPO DI SACERDOTI E LAICI
Nella diocesi di Coira continua il braccio di ferro tra il Priester Churerkreis (sostenuto da alcune decine di laici) e il vescovo a proposito della firma del codice di comportamento (Verhaltenskodex ) per la “prevenzione dell’abuso spirituale e dello sfruttamento sessuale”. Del tema abbiamo già parlato in questo sito (vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/svizzera/1083-l-aborto-del-parlamento-ue-l-arcobaleno-del-vescovo-di-coira.html ).
In sintesi. Il codice è “vincolante per tutti i collaboratori e le collaboratrici pastorali nella Chiesa, i sacerdoti e gli agenti pastorali e tutti i leader nella Chiesa – compreso il vescovo”. Tra i punti da sottoscrivere ne appaiono alcuni assai discutibili: “Io rinuncio a valutazioni globalmente negative su pretesi comportamenti non biblici in materia di orientamento sessuale” e anche: “Riconosco i diritti sessuali come diritti umani, in particolare il diritto all’autodeterminazione sessuale”. Poi: a proposito di corsi per la preparazione al matrimonio, un altro punto del codice è particolarmente controverso: “Tralascio qualsiasi forma di discriminazione fondata su orientamento sessuale o identità”.
Confrontato a tali richieste molto arcobaleno del Codex – e pur condividendolo per il resto - il Priester Churerkreis ha esposto al vescovo le proprie valutazioni critiche, de facto non ottenendo ascolto. E’ seguito un periodo di stallo, fino a quando il 9 febbraio il decano della Svizzera centrale Rudolf Nussbaumer ha invitato il vescovo a interrompere la collaborazione con la responsabile della prevenzione Karin Iten, ritenuta simpatizzante della causa lgbt.
Constatato il persistere della resistenza ai suoi sostanziali Diktat, il 15 febbraio scorso il vescovo Bonnemain ha preso la penna e ha vergato un testo di “Precisazioni sul Verhaltenskodex della diocesi di Coira”. In cui, dopo aver ricordato le linee direttrici della Conferenza episcopale svizzera (però il Verhaltenskodex va molto al di là di quanto è stato deciso nelle diocesi di Basilea e di San Gallo), osserva: “Io ho firmato il Verhaltencodex per primo. Sono convinto della qualità di questo strumento di prevenzione. Altrettanto sono convinto che il nostro Verahaltenskodex è in piena consonanza con il nostro credo cattolico”. Più oltre: “Tutte le indicazioni di comportamento nel Verhaltenskodex perseguono questo obiettivo, quello di una svolta culturale nella convivenza ecclesiale” (svolta culturale?) Conclusione: “Perciò mi attendo che tutti i sacerdoti e i collaboratori della Chiesa accettino il Verhaltenskodex e si comportino di conseguenza. Se qualcuno nel firmare il Verhaltenskodex volesse aggiungere una riserva, tale riserva non potrebbe relativizzarne né l’obbligatorietà né i criteri”.
La reazione del Churer Priesterkreis è stata immediata. Il giorno dopo, il 16 febbraio 2023, in una nuova presa di posizione pubblica ha chiesto al vescovo Bonnemain se, citando in una riserva passi inequivocabili del catechismo della Chiesa cattolica, si incorrerebbe in un’inaccettabile relativizzazione del Verhaltenskodex. Siamo curiosi di constatare se e come il vescovo Bonnemain vorrà o saprà rispondere in modo soddisfacente a tale domanda, indubbiamente di sostanza.