LATERANENSE/DIALOGO: RAV. DI SEGNI, DUREGHELLO, SPREAFICO, GNAVI –di GIUSEPPE RUSCONI -www.rossoporpora.org - 21 gennaio 2025
Un confronto intenso e anche duro presso l’Università del Papa sul tema del dialogo ebraico-cristiano, che ha sofferto (e soffre) non poco per gli avvenimenti in Terrasanta, in particolare dopo l’inaudito atto terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023 e quel che ne è seguito. Gli interventi del Rabbino capo Di Segni, di Ruth Dureghello, del vescovo Spreafico, del moderatore mons. Marco Gnavi. Come ne ha riferito l’Avvenire.
Giovedì 17 gennaio 2025, vigilia in Italia della Giornata del dialogo tra cattolici ed ebrei, la Lateranense ha ospitato un pomeriggio di riflessione posto sotto il motto giubilare “Pellegrini di speranza”. Relatori principali il Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, l’ex-presidente della comunità ebraica romana Ruth Dureghello, il vescovo Ambrogio Spreafico, la biblista Donatella Scaiola. Moderatore mons. Marco Gnavi, direttore dell’Ufficio diocesano competente e membro della Comunità di sant’Egidio come Spreafico.
Considerata la situazione in Terrasanta (che da domenica conosce una tregua, pur fragile, nei combattimenti), preso nota di quanto è successo dal 7 ottobre 2023 (attacco terroristico di Hamas in Israele) e ritenuta la nota franchezza dei relatori di parte ebraica, veniva spontaneo pensare che nell’incontro si sarebbero toccati non tanto temi di alta teologia ma soprattutto di concreta, lacerante e dolorosa attualità. Così è stato. Nell’aria attesa e anche un po’ di tensione, tanto che le domande del pubblico prudenzialmente sono state escluse e un commento ad alta voce dai banchi è stato subito bloccato dal moderatore. Il confronto si è rivelato duro, ma non ha comunque mai travalicato i confini di una dialettica corretta. Ne diamo conto ampiamente nelle righe che seguono.
I SALUTI INIZIALI
“Io credo, in piena fede, nella venuta del Masiach. Ed anche se tarda, nonostante tutto, io credo”. E’ con l’intensa e struggente preghiera (Ani maamin), suonata e cantata dal quartetto DAVKA di Maurizio Di Veroli che si è aperto il pomeriggio di studio, dopo i saluti portati da Claudia Caneva (“L’alterità è legata indissolubilmente al riconoscimento della propria identità”), Rosario Chiarazzo (ha ricordato le 16 schede sulla corretta presentazione dell’ebraismo nelle scuole) e Simone Caleffi (più che un saluto una vera e propria relazione, Giubileo occasione per leggere la Bibbia insieme). La biblista Donatella Scaiola ha poi illustrato tre aspetti riguardanti significato e sviluppo del Giubileo. Dapprima il rapporto tra Giubileo e tempo, molto particolare. Poi la differenza tra il Giubileo e gli editti di remissione nel mondo babilonese (venivano emessi quando un nuovo sovrano saliva al trono). Infine il fatto che la terra è di Dio e di questa terra noi siamo forestieri ed ospiti.
RICCARDO DI SEGNI: UN INTERVENTO MOLTO FRANCO
Senza diplomatiche carezze l’intervento di Riccardo Di Segni, che già inizialmente ha messo le cose in chiaro: “Stiamo vivendo tempi molto difficili che impattano tra l’altro sul dialogo ebraico cristiano e una riflessione su questo punto non può essere elusa, cominciando proprio con un colloquio tra amici, che è quello che si svolge qui oggi”.
SHOFAR E KEFIAH
Il Rabbino capo di Roma ha evocato dapprima un’accesa discussione nella comunità ebraica sull’uso dello shofàr (corno di montone), in alcuni casi e da parte cattolica, per l’apertura delle Porte sante diocesane: “Lo shofàr per gli ebrei ha una grande importanza, è al centro della liturgia del capodanno, e il suo suono fa vibrare le coscienze. Quando mi è stato chiesto che significa lo shofàr per gli ebrei ho spiegato che sta agli ebrei come le campane stanno ai cristiani. Ricordate Pier Capponi? ‘Voi sonerete le vostre trombe. noi suoneremo le nostre campane!’ La ripresa di questo strumento è parsa a qualcuno della nostra comunità l’appropriazione di una nostra cosa sacra, e qualcuno ha parlato anche di sostituzionismo”.
Riccardo Di Segni ha poi fatto riferimento a un altro episodio, avvenuto a dicembre, quando “il papa si è fatto fotografare in preghiera” davanti a un presepe in Sala Nervi nel quale il Bambinello, “messo là prematuramente, era appoggiato su una kefiah palestinese”. Grave per il Rabbino capo e per molti ebrei: sia per “la scelta di campo ben precisa propal” che per la spoliazione dell’identità ebraica di Gesù e del cristianesimo.
Da una parte si assumono simboli ebraici (shofàr) e dall’altra si negano le radici ebraiche? (kefiah palestinese)? “Il problema è trovare un giusto equilibrio. E non è semplice. Ma è attuale, perché il momento che viviamo è quello in cui sembra che la chiesa stia di nuovo cedendo alla tentazione di tagliare i ponti con l’ebraismo”.
IL DIALOGO EBRAICO-CRISTIANO TRA LE VITTIME DEL 7 OTTOBRE
E qui irrompe l’attualità. Meritano di essere riportate integralmente le riflessioni del Rabbino capo.
La guerra che si è scatenata dal 7 ottobre del 2023 ha avuto tra le sue vittime il dialogo ebraico cristiano. Nel mondo si è sollevata un’ondata di ostilità antiisraeliana, in alcuni casi formalmente limitata alla critica del governo e del suo premier, ma poi allargata al popolo ebraico che si è stretto solidale con le sorti di Israele minacciato; le accuse contro Israele hanno rinfocolato e fatto leva su sentimenti antiebraici mai sopiti; il vocabolario usato è stato funzionale alla demonizzazione e al ribaltamento del senso di colpa per il genocidio, con parole e concetti propri di una tradizione di ostilità millenaria (crudeltà, vendetta, i bambini ecc.). Che c’entra in questo la Chiesa cattolica e il dialogo? È che la tragedia in corso non coinvolge solo Gaza, ma l’intera regione e comporta un rischio epocale per Israele, non compreso o sottovalutato; e questi concetti e vocaboli accusatori di Israele, anziché essere bilanciati in una visione obiettiva, sono stati ripresi da una parte della Chiesa, dalla base fino al vertice, che così ha fatto da cassa di risonanza e avvallo morale della condanna. E perché non avrebbe dovuto farlo, ci si chiede?
Allarghiamo un momento la prospettiva su quanto succede nel mondo non tanto lontano da noi: Sudan meridionale, 400 k morti: Yemen 400, Siria almeno 400, Tigrai (Etiopia almeno 300. 13 milioni di rifugiati e 24 milioni di profughi all’interno dei paesi. Il numero di cristiani in medio oriente che cala vertiginosamente. Nel solo Irak da 1.5 milioni a 250.000
Questa lista incompleta degli orrori in corso coincide, se si considerano le posizioni dei vertici della Chiesa cattolica, con quella delle omissioni, delle distrazioni, del basso profilo, di citazioni generiche, che stride con l’attenzione sistematica e quasi quotidiana e le parole di riprovazione e condanna nei confronti di Israele. Motivazione formale, la nobilissima compassione per i sofferenti e la condanna della crudeltà della guerra, che però quando è monotematica e unilaterale è sospetta. Si potrebbe obiettare che questo tipo di argomento, “c’è ben altro”, rientra nella deprecata categoria del cosiddetto “benaltrismo”, che serve a eludere o negare i fatti. In realtà tutti i fatti (quelli veri, non quelli deformati della propaganda e riproposti acriticamente), sono da condannare, ma qua c’è veramente ben altro, e l’indignazione selettiva -per usare un’espressione oggi comune- perde la sua forza morale. A difesa del papa, Giuseppe Rusconi (che ci fa l’onore della sua presenza qui ) ha scritto che (NdR: vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/1217-rapporti-tra-cattolici-ed-ebrei-malumore-ebraico-due-lettere.html ) ‘un papa non può dividere il mondo in figli e figliastri e dunque deve denunciare le sofferenze di tutti’. Sono pienamente d’accordo. Ma è proprio quello che il papa non fa.
Un’affermazione pesante quella di Di Segni, che cosi prosegue: “Sappiamo che il papa ogni giorno è al telefono con il parroco di Gaza. Quante telefonate ha fatto in Sudan, Siria, Etiopia, Congo, Yemen e quante volte ne ha parlato? Non lo sappiamo”.
Assicuriamo il Rabbino capo di Roma che invece il papa ne ha parlato in tante occasioni (dagli Angelus in poi, senza dimenticare i viaggi papali laddove era possibile), pur se naturalmente la Terrasanta ha un posto privilegiato nel cuore di ogni cristiano.
ISRAELE PER MOLTI E’ UN NERVO SCOPERTO
Ha continuato Di Segni: Però sappiamo che con l’appoggio mediatico della Chiesa, Israele, nel senso originario del popolo ebraico, e poi dello Stato che ha questo nome, è tornata sul banco degli imputati.
In tutto questo c’è da fare un’ulteriore riflessione. A proposito del conflitto israeliano palestinese, si è spesso parlato di sproporzione, riferendosi alla reazione israeliana. La vera sproporzione è un’altra; è, a confronto con altri eventi ben più tragici, l’attenzione mediatica concentrata su quei fatti, la propaganda avvelenata e menzognera che fa presa sulle persone. Perché c’è questa sproporzione? Perché c’è di mezzo Israele. In America, con amara ironia, usano un gioco di parole: No Jews no news, se non ci sono gli ebrei non c’è la notizia. E perché? Gli ebrei, malgrado siano una piccola minoranza dell’umanità, sono spesso al centro di avvenimenti di eccezionale gravità e di un’attenzione eccessiva. Tutto questo potrebbe avere una spiegazione politica e razionale. Ma a un pubblico che ha una sensibilità religiosa la spiegazione politica non deve bastare. Quello che stiamo vedendo in questi ultimi mesi è la ripetizione di uno schema antico e costante. Israele rappresenta per molti un nervo scoperto che basta stimolare per evocare reazioni eccessive. È un enigma, un problema irrisolto, una realtà con la quale è difficile convivere in pace, un ostacolo all’equilibrio delle persone e delle società. E non è un caso che questa difficoltà trovi espressione proprio nelle parole critiche del capo di milioni di fedeli. Per chi crede, e cerca nella religione ispirazione e sostegno, c’è qui qualcosa o molto di più della politica, della psicologia, della sociologia. È la condizione speciale di Israele nella storia e nella fede dell’umanità. Che il più delle volte porta l’umanità a esprimersi nei confronti di Israele nel peggiore dei modi possibili, come in questi giorni, ma che potrebbe e dovrebbe avere invece un’evoluzione virtuosa e positiva. È questa la sfida per chi ancora spera nel dialogo. Un dialogo da mesi rovinato, ma che non è e non deve essere, per chi crede, un evento banale da interrompere.
IL ‘DISAGIO’ DEL MODERATORE GNAVI
Concluso l’intervento del Rabbino capo il moderatore Marco Gnavi si è sentito in dovere di prenderne le distanze: “La Chiesa dal Concilio Vaticano II in poi si sta emendando e ogni tanto scivola. Però la seconda parte dell’intervento del Rabbino capo mi crea disagio”. Per Gnavi l’Europa di oggi è nata dal trauma della Shoah, avvenuta nell’indifferenza. Da allora in poi si è imparato molto anche per il valore morale dello Stato di Israele. Tuttavia le politiche militari di Israele possono mettere a rischio il suo futuro. Gnavi è preoccupato. Il dialogo è anche un atto di audacia. Non è equidistanza quella del papa e dei cattolici. Credo non sia vero che il papa taccia sui cristiani perseguitati. Certo, “comprendo il vostro dolore. Siete una grande comunità di vita e di fede che ci interroga sempre. Non posiamo pensarci senza di voi. C’è un nemico che è l’odio, un nemico che ci vuole distanti. Se così sarà, sarà peggio per tutti. Il Papa ha ragione quando dice che siamo in un cambio d’epoca: però tutto è messo a rischio non da una parola del Papa, ma dalla storia. Io ci sono. Noi ci siamo. I nemici sono altri”.
RUTH DUREGHELLO: TEMPI FORSE PEGGIORI DI QUELLI DELL’ATTENTATO ALLA SINAGOGA DEL 1982
Ha preso poi la parola Ruth Dureghello, già presidente dal 2015 al 2023 della Comunità ebraica di Roma, che inizialmente si è definita “amante del dialogo e del confronto anche in momenti così difficili” e si è stupita perché “ancora oggi gli ebrei siano incompresi, invece di essere circondati di ammirazione” per quanto hanno trasmesso alla civiltà occidentale e al cristianesimo.
Purtroppo Il 7 ottobre ha cambiato ogni assunto e paradigma faticosamente costruito. Siamo costretti a piangere i nostri fratelli e viviamo forse tempi peggiori di quelli dell’attentato alla Sinagoga del 9 ottobre 1982. Dopo il 7 ottobre, dopo l’iniziale commiserazione e vicinanza, si sono moltiplicati tanti se e tanti ma, storture e disinformazioni. E anche il dialogo è stato messo a dura prova. E’ giusto che ci si preoccupi del Terzo Mondo, ma attenzione a non diventare idolatri delle sofferenze di una sola parte. Ci sono scelte politiche che si fanno quando si decide di accogliere e inseguire alcuni regimi che minacciano le democrazie liberali (vedi Iran, anche Russia, da cui è scappato all’inizio della guerra il rabbino capo di Mosca). Quando si ammicca o quando si aprono le porte, o si guarda alle sofferenze di una parte sola, si compiono delle scelte che pongono in bilico il nostro futuro.
Il quadro è assai preoccupante… è in discussione la sopravvivenza della nostra civiltà costruita sulle ceneri di Auschwitz. E’ necessaria una nuova riflessione. Ai nostri giovani, che appaiono disorientati e urlano slogan che neanche capiscono, abbiamo il dovere morale di proporre conoscenza e rispetto. E’ necessario un impegno per trasformare la speranza in realtà. Non perdere mai la speranza!
GNAVI: GLI ANNI DI DIALOGO NON SI BRUCIANO, IL DIALOGO VA RIPENSATO NELLE MODALITA’
Anche dopo l’intervento di Ruth Dureghello il moderatore ha voluto esprimere alcune considerazioni in spirito di amicizia (è nota la vicinanza tra Sant’Egidio e la Comunità ebraica). Gli anni di dialogo si bruciano? No, no. Quello che è stato, è nelle profondità della storia. Il dialogo va ripensato non con la modalità conosciuta, ma con altri strumenti. I giovani sono disorientati. Non conoscono più il passato e perdono fiducia nel futuro. Mi preoccupa la crescita dell’odio, che nessuno controlla. Ed è una conseguenza delle sofferenze che voi conoscete… e poi ci sono certe immagini…Non c’un odio di serie A e uno di serie B. Cosa dobbiamo pensare?
IL VESCOVO SPREAFICO: SIAMO UOMINI E DONNE DI SPERANZA, PERCHE’ LA SPERANZA COSTRUISCE
Mons. Ambrogio Spreafico - vescovo di Frosinone e Anagni, già presidente della Commissione Dei per l’ecumenismo e il dialogo dal 2016 al 2021 – ha evocato dapprima l’indizione del primo giubileo da parte di Bonifacio VIII (una ragione? La massa di pellegrini in fila a Roma per chiedere il perdono). E poi, riferendosi all’attualità ebraico-cristiana: “Abbiamo cercato di fare in modo che la differenza tra noi non divenga motivo di guerra. Siamo chiamati a vivere insieme, altrimenti la pace non si costruisce. Quanto avvenuto il 7 ottobre è stato un atto di violenza inaudita, di disumanità. Tutto è diventato più difficile. C’è stata una crescita esponenziale dell’antisemitismo”. Inoltre “le situazioni di Gaza e della Cisgiordania hanno partorito una montagna di odio. Dovremo lavorare perché si abbassi. Non sarà facile. Il dolore è uguale per tutti”. Mons. Spreafico ha poi negato che ci sia una “scarsa empatia” da parte della Chiesa verso gli ebrei: “Abbiamo continuato a camminare insieme, nel dolore e nella fatica, in amicizia. Non c’è da parte nostra una svalutazione del risorgente antisemitismo”. Conclusione: “Siamo uomini e donne di speranza, perché la speranza costruisce”.
L’AVVENIRE E L’INCONTRO ALLA LATERANENSE
Il quotidiano della Cei ha pubblicizzato l’incontro domenica 12 gennaio 2025 in Roma Sette con una sessantina di righe a firma Roberta Pumpo. Titolo: “Dialogo con gli ebrei: al centro la speranza”. Foto del Rabbino Capo Di Segni.
Venerdì 17 gennaio, giornata del dialogo ebraico-cristiano, l’Avvenire a pagina 2 (dedicata ai ‘conflitti mediorientali ‘) ha pubblicato una colonna in grassetto di un’ottantina di righe, a firma Giuseppe Muolo. Il titolo (e anche i toni dell’articolo) sono assai muscolosi: “Di Segni attacca papa Francesco. Spreafico: non fa figli e figliastri” (vedi nostra citazione nell’intervento del Rabbino capo).
Domenica 19 gennaio in Roma Sette (con un lancio in prima pagina: “Dialogo con ebrei: Di Segni critico, Spreafico replica”), a pagina 3, articolo principale a firma Giuseppe Muolo con il titolo: “Spreafico: ‘Abbassare montagna di odio’ e l’occhiello: “Giornata del dialogo ebraico-cristiano: il vescovo replica all’intervento del rabbino Di Segni, critico con il Papa sulla ‘tentazione della Chiesa di tagliare i ponti con l’ebraismo’ “. Grande foto di Spreafico e Di Segni che si stringono la mano e foto più piccola di Gnavi e Dureghello.